Sotto la lente delle autorità ci sono le iscrizioni sulle piattaforme. L'iscrizione è gratuita ma le piattaforme entrano in possesso di dati degli utenti potendone così effettuare la profilazione anche a fini commerciali. Queste informazioni hanno dunque un valore effettivo che andrebbe tassato. L'indagine fa perno su questo principio e, come si intuisce, ha implicazioni potenzialmente enormi per tutte le società del settore. Secondo quanto scrive il Washington Post il gruppo Meta si appresterebbe ad annunciare una nuova ondata di licenziamenti dopo gli 11mila tagli dello scorso anno
La Procura di Milano ha aperto un fascicolo per omesso versamento dell’Iva da parte del gruppo Meta (Facebook, Instagram e Whatsapp) per circa 870 milioni di euro. La cifra è emersa in seguito agli accertamenti del Nucleo di Polizia economico finanziaria della Guardia di Finanza in base alla mancata presentazione della dichiarazione dell’imposta sul valore aggiunto da parte del colosso guidato da Mark Zuckerberg per gli anni che vanno dal 2015 al 2021. L’indagine, come ha riportato oggi in esclusiva Il Fatto Quotidiano, è stata avviata dalla Procura europea. Ieri però, come hanno riferito fonti qualificate, l’inchiesta è passata per competenza ai pm milanesi.
Come scritto da Antonio Massari sul Fatto Quotidiano, l’Iva non pagata è riconducibile alle iscrizioni sulle piattaforme. L’iscrizione è gratuita ma le piattaforme entrano in possesso di dati degli utenti potendone così effettuare la profilazione anche a fini commerciali. Queste informazioni hanno dunque un valore effettivo che andrebbe tassato. L’indagine fa perno su questo principio e, come si intuisce, ha implicazioni potenzialmente enormi per tutte le società del settore. Facendo i calcoli in base a questo principio le autorità italiani hanno stabilito che Meta avrebbe dovuto pagare solo nel nostro paese 220 milioni di euro, a livello europeo ci si avvicina ai 900 milioni.
“Prendiamo sul serio i nostri obblighi fiscali e paghiamo tutte le imposte richieste in ciascuno dei Paesi in cui operiamo. Siamo fortemente in disaccordo con l’idea che l’accesso da parte degli utenti alle piattaforme online debba essere soggetto al pagamento dell’Iva. Come sempre, siamo disposti a collaborare pienamente con le autorità rispetto ai nostri obblighi derivanti dalla legislazione europea e nazionale”, questo il commento di un portavoce di Meta.
Più nello specifico la Guardia di Finanza ha fatto un calcolo ad hoc sulla cosiddetta permuta di beni differenti. I pm della Procura Europea Giordano Baggio, Sergio Spadaro e il vice procuratore europeo Danilo Ceccarelli hanno quindi inizialmente avviato una istruttoria amministrativa e si sono spogliati della competenza del caso che ora è stato assegnato a Giovanni Polizzi che fa parte dei sostituti del secondo dipartimento guidato da Tiziana Siciliano.
Negli ultimi anni la Procura milanese ha portato avanti molte indagini sui giganti del web, che sul fronte penale si sono chiuse o con archiviazioni o con patteggiamenti a pene pecuniarie basse per i responsabili delle aziende. Conclusioni arrivate, però, dopo che sul fronte tributario le società hanno staccato maxi assegni di risarcimento nei confronti dell’Agenzia delle Entrate. L’ultimo caso è stato quello di Netflix che ha chiuso i conti col Fisco versando quasi 56 milioni di euro. Prima ancora Google con 306 milioni di euro nel 2017 e Apple due anni prima con 318 milioni per chiudere tutte le pendenze. Già nel 2018, poi, Facebook si era messa in regola versando all’Erario oltre 100 milioni di euro, cifra simile a quella sborsata nel dicembre 2017 anche da Amazon. Secondo quanto scrive il Washington Post il gruppo Meta si appresterebbe ad annunciare una nuova ondata di licenziamenti dopo gli 11mila tagli dello scorso anno.