Nessuna apertura sulla messa in latino. Lo ha ribadito Papa Francesco durante l’udienza privata concessa al cardinale Arthur Roche, prefetto del Dicastero per il culto divino e la disciplina dei sacramenti. Bergoglio ha confermato quanto stabilito nel suo motu proprio Traditionis custodes del 2021, contestatissimo dai tradizionalisti, nel quale il Papa ha drasticamente ridotto la possibilità di celebrare la messa in latino. Una norma opposta alla liberalizzazione del rito antico che era stata, invece, decisa da Benedetto XVI con il suo motu proprio Summorum pontificum del 2007, uno dei provvedimenti più controversi del suo pontificato. Una materia, quella della messa in latino, che ha sempre animato lo scontro tra bergogliani e ratzingeriani. Scontro che è stato ulteriormente alimentato dalle dichiarazioni del segretario di Benedetto XVI, l’arcivescovo Georg Gänswein, che, dopo la morte del Papa emerito, ha affermato che la drastica riduzione della possibilità di celebrare la messa in latino stabilita da Francesco ha “spezzato il cuore” al suo predecessore.
Al cardinale Roche il Papa ha ribadito che “sono dispense riservate in modo speciale alla Sede Apostolica: l’uso di una chiesa parrocchiale o l’erezione di una parrocchia personale per la celebrazione eucaristica usando il Missale Romanum del 1962; la concessione della licenza ai presbiteri ordinati dopo la pubblicazione del motu proprio Traditionis custodes di celebrare con il Missale Romanum del 1962”. Francesco, inoltre, ha confermato anche che “il Dicastero per il culto divino e la disciplina dei sacramenti esercita nei casi sopra menzionati l’autorità della Santa Sede, vigilando sull’osservanza di quanto disposto. Qualora un vescovo diocesano avesse concesso dispense nelle due fattispecie sopra menzionate è obbligato ad informare il Dicastero per il culto divino e la disciplina dei sacramenti che valuterà i singoli casi”.
Analogamente a quanto aveva fatto Benedetto XVI con la pubblicazione di Summorum pontificum, Bergoglio volle accompagnare la divulgazione del suo motu proprio sulla messa in latino con una lettera per spiegarne le motivazioni. “Sono evidenti a tutti – scrisse il Papa – i motivi che hanno mosso san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI a concedere la possibilità di usare il Messale Romano promulgato da san Pio V, edito da san Giovanni XXIII nel 1962, per la celebrazione del sacrificio eucaristico. La facoltà, concessa con indulto della Congregazione per il culto divino nel 1984 e confermata da san Giovanni Paolo II nel motu proprio Ecclesia Dei del 1988, era soprattutto motivata dalla volontà di favorire la ricomposizione dello scisma con il movimento guidato da mons. Lefebvre. La richiesta, rivolta ai vescovi, di accogliere con generosità le ‘giuste aspirazioni’ dei fedeli che domandavano l’uso di quel Messale, aveva dunque una ragione ecclesiale di ricomposizione dell’unità della Chiesa. Quella facoltà venne interpretata da molti dentro la Chiesa come la possibilità di usare liberamente il Messale Romano promulgato da san Pio V, determinando un uso parallelo al Messale Romano promulgato da san Paolo VI”.
Francesco spiegò di aver voluto, attraverso un’ampia consultazione, valutare l’applicazione concreta del provvedimento di Benedetto XVI: “Le risposte pervenute hanno rivelato una situazione che mi addolora e mi preoccupa, confermandomi nella necessità di intervenire. Purtroppo l’intento pastorale dei miei predecessori, i quali avevano inteso ‘fare tutti gli sforzi, affinché a tutti quelli che hanno veramente il desiderio dell’unità, sia reso possibile di restare in quest’unità o di ritrovarla nuovamente’, è stato spesso gravemente disatteso. Una possibilità offerta da san Giovanni Paolo II e con magnanimità ancora maggiore da Benedetto XVI al fine di ricomporre l’unità del corpo ecclesiale nel rispetto delle varie sensibilità liturgiche è stata usata per aumentare le distanze, indurire le differenze, costruire contrapposizioni che feriscono la Chiesa e ne frenano il cammino, esponendola al rischio di divisioni. Mi addolorano allo stesso modo gli abusi di una parte e dell’altra nella celebrazione della liturgia. Al pari di Benedetto XVI, anch’io stigmatizzo che ‘in molti luoghi non si celebri in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale, ma esso addirittura venga inteso come un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale porta spesso a deformazioni al limite del sopportabile’. Ma non di meno mi rattrista un uso strumentale del Missale Romanum del 1962, sempre di più caratterizzato da un rifiuto crescente non solo della riforma liturgica, ma del Concilio Vaticano II, con l’affermazione infondata e insostenibile che abbia tradito la tradizione e la ‘vera Chiesa’”.
“Un’ultima ragione – precisò ancora il Papa – voglio aggiungere a fondamento della mia scelta: è sempre più evidente nelle parole e negli atteggiamenti di molti la stretta relazione tra la scelta delle celebrazioni secondo i libri liturgici precedenti al Concilio Vaticano II e il rifiuto della Chiesa e delle sue istituzioni in nome di quella che essi giudicano la ‘vera Chiesa’. Si tratta di un comportamento che contraddice la comunione, alimentando quella spinta alla divisione”. E concluse: “È per difendere l’unità del corpo di Cristo che mi vedo costretto a revocare la facoltà concessa dai miei predecessori. L’uso distorto che ne è stato fatto è contrario ai motivi che li hanno indotti a concedere la libertà di celebrare la messa con il Missale Romanum del 1962”.