“Il 6 febbraio, mentre stavamo lavorando a Bakhmut, abbiamo ricevuto un messaggio da un fixer che ci diceva che non voleva lavorare con noi perché gli era stato riferito dai servizi di sicurezza ucraini che il nostro accredito da giornalisti era stato cancellato perché considerati collaboratori del nemico. Ci era stato detto che i servizi di sicurezza ucraini ci avrebbero dovuto interrogare e per facilitare la situazione ci siamo spostati a Kiev. In tutto questo tempo dalle autorità ucraine non c’è stata né una conferma né una risposta chiara. Sono circolate voci molto pericolose, sulle chat locali si parlava di noi come spie russe. Le accuse di essere propagandisti russi fanno male perché in passato abbiamo fatto inchieste in Donbass sui separatisti”. Lo hanno raccontato i giornalisti italiani Alfredo Bosco e Andrea Sceresini, bloccati da 16 giorni a Kiev, intervistati dall’Ansa. “Se l’Ucraina vuole aprirsi al mondo occidentale deve garantire a chi viene qui di poter lavorare e non togliere accrediti senza motivazioni e senza permettere alle persone coinvolte di poter chiarire la situazione. Se passa la cosa che possono vietare a due giornalisti di lavorare in base al fatto che siamo stati in Donbass, raccontando le cose in modo completo, sarà un problema per l’Ucraina stessa”.