Tutto questo si traduce in una collezione che potente, materica, fatta di pizzi, patchwork, damaschi e paillettes. Marras la definisce "nuragico-moderna, arcaico-contemporanea" ed è proprio così, un perfetto equilibrio di ossimori. Ci sono "abiti e 'stracci'”, come dice lui, realizzati con la stessa tecnica degli antichi tappeti sardi, maglioni di lana grossa che ricordano quelli dei vecchi pastori, leggins da folletto e poi, ancora, le camicie di seta con stampe floreali, i decori collage e i ricami preziosi che rievocano fiere leggendarie
Varcando la soglia del Circolo Marras di via Cola di Rienzo ci si ritrovava, dopo aver sceso un paio di scalini, in una sorta di bosco incantato. A terra un tappeto di foglie secche, tutt’intorno degli alberi spogliati dall’inverno e illuminati da lucine dorate mentre nell’aria riecheggiavano latrati e altri versi animali. Uno scenario onirico, fiabesco, che rievoca la foresta di Burgos, nel cuore della Sardegna, terra natìa dello stilista, dove la leggenda vuole che abiti il famoso Babbaiottu, creatura mitica e mitologica metà lupo e metà cinghiale: le credenze popolari narrano che questo animale faccia impazzire chiunque si addentri nel suo territorio, soprattutto se forestiero. A rompere l’atmosfera sospesa è stato l’improvviso arrivo in passerella di un fauno, che si muoveva scompostamente lanciando una manciata di foglie nella direzione delle giovani donne che calcano la pedana. Tiene in mano un “coricheddo”, il dolce tipico locale a forma di cuore: lo addenta con foga, bramando il cuore dell’amata. Modelli e performer si confondono come i racconti con la realtà, immersi come sono nelle suggestioni di una Sardegna arcaica e ancestrale. Anche i ritmi sono lenti e incalzanti al tempo stesso. Come solo lui sa fare, Antonio Marras ha fatto della sua sfilata una vera e propria pièce teatrale in omaggio alle sue radici ma soprattutto a Grazia Deledda, musa ispiratrice di questa sua collezione Autunno/Inverno 2023. La scrittrice sarda, unica italiana ad essere insignita del Premio Nobel per la Letteratura, nel 1926, diventa il suo modello sia per la passionale determinazione con cui ha vissuto, sia per quel suo fisico archetipico della donna sarda, con quei suoi lineamenti marcati, i tratti mediterranei, i lunghi capelli oscuri folti e crespi e i grandi occhi velati da una patina di melanconia.
“Grazia Deledda è un personaggio che non avevo mai avuto il coraggio di sfiorare, che ho sempre ammirato da lontano per pudore ma questo mi sembrava il momento giusto – spiega lo stilista di Alghero – per raccontare la storia di come una donna determinata può raggiungere i suoi obiettivi. Grazia Deledda nasce a fine Ottocento, ha la quarta elementare, decide di fare la scrittrice e si trasferisce a Roma dove sposa un uomo che diventa il suo segretario: con costanza, forza e determinazione alla fine ottiene il premio Nobel per la letteratura. Anche nel buio della foresta trova una spiraglio di luce ed è ciò che ci auguriamo tutti“. Tutto questo si traduce in una collezione che potente, materica, fatta di pizzi, patchwork, damaschi e paillettes. Marras la definisce “nuragico-moderna, arcaico-contemporanea” ed è proprio così, un perfetto equilibrio di ossimori. Ci sono “abiti e ‘stracci’”, come dice lui, realizzati con la stessa tecnica degli antichi tappeti sardi, maglioni di lana grossa che ricordano quelli dei vecchi pastori, leggins da folletto e poi, ancora, le camicie di seta con stampe floreali, i decori collage e i ricami preziosi che rievocano fiere leggendarie. Parola d’ordine: mescolare, intersecare, accostare, miscelare, amalgamare materiali, tessuti, ricami, forme, stampe e fantasie. Con quell’alchimia con cui i cuori di due innamorati iniziano a battere all’unisono, proprio come nella novella che gli ospiti hanno trovato al proprio posto. Ad amplificare le suggestioni c’è poi la colonna sonora, una litania che unisce versi di animali con frasi in dialetto sardo.
C’è infatti un profondo romanticismo di fondo, lo stesso con cui lo stilista guarda alla natura più selvaggia della sua terra. Il tutto declinato secondo le silhouette e i canoni tipici dei primi del ‘900: gli abiti di broccato nero con le maniche a gigot, le camicie bianche dai colletti inamidati o ancora i bustini e le gonnellone avrebbe potuto benissimo indossarli la stessa Deledda ai suoi tempi. Poi i capelli legati in trecce, pettinatura pettinatura rural-retrò per eccellenza. Eppure è tutto più contemporaneo che mai. Anche i coricheddos, i dolci della pasticceria sarda che qui si fanno pattern e accessorio. Senza dimenticare le contaminazioni internazionali, come nel caso del tartan dei kilt scozzesi. Perché la sua moda, proprio come la cultura sarda, è da sempre aperta a incontri e commistioni con altre culture, con il diverso. È l’ennesima accorata ode che Antonio Marras fa alla sua isola, ai suoi valori profondi, all’importanza della salvaguardia delle tradizioni. Che poi sono gli stessi principi che hanno segnato il temperamento eccezionale di Grazia Deledda, che lui qui idealizza e celebra come un poeta cortese. E non possiamo che pensare proprio a lei quando, sul finale, in passerella arriva una vera regina dei boschi, con tanto di corona.