Zelensky l’aveva apertamente dichiarato a Bruxelles, davanti al Consiglio Ue: la Russia vuole destabilizzare la Moldavia e prenderne il controllo. Un “piano” intercettato dai servizi segreti ucraini poi confermato il 13 febbraio anche dalla presidente filoeuropeista Maia Sandu, che sarebbe stato portato a termine attraverso il sostegno all’opposizione filorussa, infiltrata da personale addestrato militarmente in Bielorussia, Serbia e Montenegro. L’obiettivo: sovvertire “il potere legittimo da Chisinau a uno illegittimo che metterebbe (la Moldavia) a disposizione della Russia per fermare il processo di integrazione europea”. Spiegare cosa significhi per Mosca la Moldavia, paese stretto fra Romania e Ucraina che ha ottenuto lo status di paese candidato all’Ue assieme a Kiev, significa parlare di Transnistria, regione separatista sostenuta dalla Russia che confina con l’Ucraina e dove il Cremlino ha truppe dal 1992, due anni dopo la proclamazione della secessione. Non è riconosciuta dall’Onu e il governo è di fatto sostenuto direttamente da Mosca. Quello che ha deciso oggi il Cremlino riguarda proprio i separatisti: Putin ha infatti revocato un decreto del 2012 che garantiva il rispetto della sovranità, dell’integrità territoriale e della neutralità della Moldavia nella regione separatista. In pratica, sosteneva la sovranità di Chisinau nell’ambito delle politiche sul futuro regione. Il decreto, che comprendeva una componente moldava, delineava la politica estera russa di 11 anni fa che presupponeva relazioni più strette con Ue e Usa da parte di Mosca. Ma visto il progressivo degenerare dei rapporti diplomatici a seguito della crisi ucraina, il Cremlino è arrivato allo strappo con Chisinau per “garantire gli interessi russi in relazione ai cambiamenti nelle relazioni internazionali”. La revoca è stata pubblicata sul sito del Cremlino.
Appena due giorni fa, il 20 febbraio, il nuovo primo ministro moldavo, l’europeista Dorin Recean, aveva parlato della smilitarizzazione della regione – un tema che le autorità moldave sollecitano da anni -, ovvero del ritiro delle “forze di pace russe” dalla Transnistria. Parole a cui aveva risposto il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, avvertendo le autorità moldave di stare “molto attente” e ricordando che i rapporti con la Moldavia sono molto tesi perché Chisinau sta “scivolando in una tale isteria anti-russa” ed è improbabile che una tale “mancanza di costruttività” aiuti la repubblica. Il premier moldavo, nominato dopo che lo scorso 10 febbraio si è dimessa Natalia Gavrilita, ha evidenziato che è in corso una “guerra ibrida” contro la Moldova che, sebbene sia Paese neutrale, deve comunque rafforzare la propria difesa per respingere “una potenziale aggressione”. In questo quadro si collocano anche le esercitazioni militari dal 21 al 23 febbraio presso il campo di addestramento dell’unità a Balti, nella parte centrale del Paese, che rientrano nel piano di addestramento dell’esercito dell’anno in corso.
Il nodo della Transnistria era stato sollevato nei giorni scorsi anche dall’assistente del segretario di Stato americano per gli affari europei ed eurasiatici Karen Donfried, che in un’intervista a Radio Free Europe/Radio Liberty ha esplicitato la preoccupazione degli Stati Uniti per le dichiarazioni di Sandu rispetto al complotto russo per rovesciare il potere in Moldavia e ha affermato che gli Usa “continueranno” a stare al fianco della Moldavia “in questo periodo molto critico in cui si trova in una posizione geografica vulnerabile, sta affrontando una guerra nelle vicinanze e la sfida della Transnistria“. E nell’intervista rilasciata qualche giorno fa ai giornali italiani, anche lo stesso presidente ucraino Zelensky si è dichiarato “pronto ad aiutare” nel caso in cui la Moldavia venisse attaccata dai russi della regione separatista.