“È un’aspirazione velleitaria e metafisica che l’informazione di garanzia possa costituire un motivo di dimissioni. Diversamente, devolveremmo all’autorità giudiziaria il destino politico degli appartenenti all’assemblea. Oggi riguarda l’onorevole Delmastro e un domani potrebbe riguardare ciascuno di voi”. Così, durante il question time alla Camera, il ministro della Giustizia Carlo Nordio allontana le richieste di un passo indietro rivolte al suo sottosegretario Andrea Delmastro, indagato dalla Procura di Roma per rivelazione e utilizzazione di segreto d’ufficio e ascoltato venerdì scorso dai pm. Il caso è quello ormai celebre del documento riservato (una scheda di sintesi della Polizia penitenziaria) sui colloqui in carcere tra Alfredo Cospito e alcuni boss mafiosi, trasmesso da Delmastro al suo coinquilino e compagno di partito, il deputato di FdI Giovanni Donzelli, che l’ha usato in Aula per attaccare i colleghi del Pd che erano andati a fare visita all’anarchico al 41-bis.

Rispondendo a un’interrogazione del M5s, Nordio ribadisce la tesi secondo cui quell’atto non era segreto, e quindi la sua divulgazione non è un reato: “La classificazione della natura segreta, riservata, per legge appartiene all’autorità che forma il documento. Spetta al ministero definire la qualifica degli atti. E su questi abbiamo già risposto”. Eppure, quando a chiedere l’accesso a quel documento sono stati alcuni deputati di opposizione, il ministero lo ha negato, trasmettendo solo un estratto di tre pagine su (almeno) 54, dai contenuti guardacaso corrispondenti a quelli citati da Donzelli in Aula. E anche i magistrati non sono così convinti della ricostruzione, tanto da ritenere necessario approfondire la vicenda. Ma il ministro li avverte, seppur in modo sfumato: “Noi siamo rispettosissimi e attendiamo con fiducia l’esito dell’indagine. Però se la qualifica della segretezza o meno dell’atto non dovesse più dipendere dall’autorità che forma l’atto, cioè dal ministero, ma se dovesse essere devoluta alla interpretazione della magistratura, potrebbe crearsi una problematica che potrebbe e dovrebbe essere risolta in un’altra sede“. Ossia, sembra di capire, sollevando un conflitto di attribuzioni di fronte alla Corte costituzionale.

Il Guardasigilli ha risposto anche a un’interrogazione sull’esercizio della delega contenuta nella riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario, approvata a giugno dal governo Draghi: c’è la “ferma volontà” di esercitarla, assicura il ministro, ma “con gli opportuni correttivi che riterremo di adottare, più idonei, più orientati, coerenti con quella che è la iniziativa riformatrice del governo”. L’esecutivo “è profondamente convinto che, soprattutto dopo gli scandali emersi a suo tempo nel cosiddetto affare Palamara, vi sia la necessità di una profonda revisione dell’ordinamento giudiziario”, ha spiegato, ricordando che “l’ufficio legislativo del ministero ha avviato l’elaborazione della programmazione delle attività normativa per attuare questi impegni, tra i quali rientrano quelli della legge delegata nel più breve tempo possibile, tenuto conto della complessità della materia, entro il termine di giugno. È un termine che noi speriamo di poter rispettare ma, trattandosi di materia estremamente complessa, potrebbe essere necessaria qualche settimana in più. In ogni caso questa è una nostra priorità”, ha concluso.

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