“Il teatro è ‘cariato’ e alveolizzato”, ha detto a La Civetta di Minerva il professore Lorenzo Lazzarini, ordinario di Petrografia applicata e Georisorse minerarie all’Università Iuav di Venezia, esperto delle criticità della struttura antica che ha analizzato prima nel 2016 e poi recentemente. Il teatro è quello greco di Siracusa realizzato scavando il banco, insomma la pietra, la cui qualità non è il massimo, come spiega Lazzarini che aggiunge come “in particolare l’orchestra, ma anche la cavea, sono sottoposte allo stress dell’acqua piovana che ristagna nelle zone più depresse e ‘scioglie’ il carbonato di calcio della pietra”. Ma le cause del progressivo deterioramento non sono esclusivamente naturali. Anzi.

“Anche il carico antropico eccessivo è assolutamente da evitare se si vuole salvaguardare il monumento. Danni indubbi alla pietra tenera provengono altresì dall’uso dei macchinari di scena nell’orchestra”, sostiene Lazzarini. Di questo si dibatte da anni. Da un lato gli addetti ai lavori, soprattutto archeologi e architetti. Dall’altro gli amministratori, di diverso ambito, i quali sostengono che la valorizzazione del teatro passi inevitabilmente attraverso il suo uso indiscriminato e sostanzialmente scriteriato per gli altri, per i quali servirebbe prima di tutto un intervento di restauro serio. Una diatriba sterile, finora. Montagne di parole e propositi che non hanno impedito che il monumento, da luogo incantato, si trasformasse in un contenitore di eventi di ogni tipo. D’altra parte il teatro greco di Siracusa è un usato sicuro, almeno finora, e poi costa poco e il risultato è garantito.

Forse per questo si continua a utilizzare per le rappresentazioni classiche e lo si fa dal 1914, quando in scena andò l’Agamennone di Eschilo, con la regia di Ettore Romagnoli. Fino al 1950 con cadenza irregolare, poi dal 1952 al 2000 ogni due anni e infine ogni anno. Sulla pietra della scena hanno recitato attori straordinari e immensi. Come è possibile dimenticare l’Aiace di Sofocle del 1939, con Gino Cervi, Paolo Stoppa e Aroldo Tieri? Oppure il Prometeo incatenato di Eschilo nel 1954 con Vittorio Gassman, Anna Proclemer e Mario Scaccia? Come anche l’Edipo re di Sofocle nel 1972 con Glauco Mari, Valeria Moriconi e Mariano Rigillo. Come, ancora, l’Antigone di Sofocle nel 2000 con Giulio Bosetti, Sandra Franzo e Luciano Roman. Rappresentazioni epiche organizzate dall’Istituto nazionale del dramma antico, con sapienza, al punto che sulla pietra della scena gli spettatori, seduti sui gradini della cavea, hanno riconosciuto di volta in volta Agamennone. E poi Elettra, Cadmo e Dioniso, Tiresia ed Edipo, Clitemnestra e Ifigenia, Teucro, Aiace e Ulisse. E poi tutti gli altri personaggi delle tragedie di Eschilo, Sofocle e Euripide e delle commedie di Aristofane. Non gli attori, ma i personaggi delle tragedie rappresentate.

Probabilmente, già questo uso ha contributo a minare la salubrità del monumento e la sua integrità. Il problema è che alle rappresentazioni teatrali si sono aggiunti i concerti di musica leggera, che evidentemente hanno un impatto molto maggiore. L’accompagnamento alle tragedie non può essere paragonato alle sonorità strumentali e vocali, peraltro amplificate dalla strumentazione tecnica del cantante. Ridurre la questione a un confronto tra teatro greco e musica leggera è fuorviante. Distoglie dal problema principale, ingenerando il sospetto che si tratti piuttosto di una disputa ideologica chiaramente snobistica. Non è così. Si tratta piuttosto di scegliere tra il monumento e il suo utilizzo. Sostanzialmente con poche regole al punto da trasformarlo pian piano da un luogo della cultura, nel quale a distanza di secoli vengono nuovamente messe in scena delle tragedie greche pensate per quello spazio, in uno spazio suggestivo, nel quale far affluire folle per il concerto del cantante di grido. Moda che il teatro di Siracusa condivide con altri luoghi della cultura italiani, sfortunatamente. Un po’ meno fragili, forse.

Si è tentato di salvaguardare il monumento rivestendolo con tavolati, ma si tratta di un palliativo. Una soluzione inadeguata, probabilmente. Si continua a nascondere la polvere sotto il tappeto. Non si affronta il problema realmente e concretamente. L’utilizzo comporta un’usura banalmente inequivocabile. Vale per qualsiasi “cosa”. Un paio di pantaloni, una autovettura sono entrambi utili: il capo di abbigliamento per riscaldarsi e il mezzo per spostarsi. Ecco, forse il problema: il monumento non deve essere utile. E’ ed esiste per essere ammirato e per essere studiato. Il suo valore risiede nella sua esistenza. Non può e non deve passare attraverso il suo uso, se non in casi particolari. E in ogni caso quando mai “farci qualcosa” possa mettere a repentaglio la conservazione? Tutto questo è ancora più vero per quei monumenti la cui fragilità sia accertata, come nel caso del teatro greco di Siracusa che va salvaguardato al di là degli interessi. Al di là della tentazione di farne uno spazio per eventi.

“Lo vedi che lo so il lavoro che fai!” dice Saro alias Massimo Bonetti a Omero Antonutti alias Luigi Pirandello nell’ultimo degli episodi di Kaos, il film del 1984 con la regia dei fratelli Taviani. Saro pronuncia quella frase mentre indica, dall’alto della cavea, il teatro greco di Siracusa. Vuoto, illuminato dai raggi del sole e maestoso nel suo silenzio. Pensare che sia necessario restituire l’originaria funzione ai monumenti dell’antichità per dargli vita è davvero una buona idea? Almeno dubitarne potrebbe essere utile. Se non altro alla loro conservazione.

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