A pochi giorni dalle primarie del Pd vorrei che entrambi i candidati alla segreteria, Elly Schlein e Stefano Bonaccini, si prendessero l’impegno di camminare al fianco dei familiari delle vittime di mafie, tra un mese a Milano, in occasione della Giornata nazionale della Memoria e dell’Impegno dedicata alle vittime innocenti delle mafie.
Oltre ad un certo sensazionalismo becero seguito alla cattura di Messina Denaro, oltre al dibattito infuocato sul 41 bis, oltre agli insulti sguaiati di Donzelli e agli attacchi alla magistratura del ministro Nordio, resta profondo il dolore di migliaia di familiari a cui le mafie hanno strappato le persone più care e resta in loro, come in ognuno di noi, il bisogno di verità che è la prima forma di giustizia.
Quando si richiama il valore dell’antimafia, bisognerebbe sempre saperlo declinare prima di tutto nella sua dimensione essenziale: il diritto alla verità per le vittime. La verità è sempre dirompente e liberatoria, ma nel caso delle vittime di mafia lo è in maniera esponenziale, perché le mafie tali sono se hanno a che fare con la gestione criminale di un potere “pubblico” e dunque fare piena luce sui delitti di mafia significa automaticamente illuminare il modo con il quale viene esercitato il potere al di sotto della linea di galleggiamento istituzionale o, peggio, mescolandosi ad essa.
La storia del Partito Democratico che pretende di ereditare e rinnovare, per fare soltanto due nomi, l’impegno di Pio La Torre e di Piersanti Mattarella, non può che avere a cuore questa forma dirompente di liberazione, la verità sui delitti di mafia, il cui bisogno è ancora così attuale e determinante per le sorti del nostro Paese. Per comprendere la portata di questa affermazione, basterebbe riflettere su quanto accadeva in Italia esattamente trent’anni fa, nel 1993, con il fallito attentato in via Fauro e poi con quelli devastanti a Firenze, Roma, Milano: quanto di quel passato non ancora svelato continua ad ipotecare il nostro futuro? Basterebbe ricordare le parole dell’allora presidente del Consiglio e futuro presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, che della notte di luglio in cui esplosero le bombe a Roma e Milano raccontò in tribunale di aver temuto che fosse in atto un vero e proprio colpo di Stato, dal momento che Palazzo Chigi restò in quel frangente del tutto isolato, con le linee telefoniche inutilizzabili. Fecero tutto i Graviano col compare Messina Denaro, tra un gelato e l’altro in riva al Lago d’Orta? Quanto è costata e chi ha pagato la “pacificazione” germinata negli anni successivi?
Invero i due candidati alla segretaria, cui riconosco una sensibilità non superficiale sul tema, tradotta in impegni concreti sia in Emilia Romagna che a Bruxelles, hanno dedicato parole significative alla questione antimafia nelle loro mozioni. Cito a titolo di esempio due passaggi.
Bonaccini: “Il Pd che vogliamo sta dalla parte giusta. Con chi lotta contro le mafie e i sistemi criminali, contro ogni forma di sfruttamento e di sopraffazione. Ed è per questo che l’impegno politico non può non essere, prima di ogni cosa, impegno antimafia e per la legalità”.
Schlein: “Garantire i diritti delle persone significa liberarle dall’oppressione delle mafie. In tutta Italia, perché la penetrazione della criminalità organizzata riguarda l’intero Paese. Il primo crimine di ‘concorso-esterno’ è credere e far credere che un’Italia senza mafie non sia possibile.”
E ho almeno un buon motivo per pensare che entrambi comprendano bene il valore della verità sui delitti di mafia: la stazione di Bologna come comune frequentazione dello spirito, che sta lì ineludibile a formare le coscienze, con la pazienza dell’acqua sulle pietre.
Dal 1995, grazie a Libera, una moltitudine di familiari delle vittime innocenti delle mafie si raduna il primo giorno di primavera per rinnovare il proprio impegno insieme a migliaia di cittadini e dal 2017 lo Stato ha inserito questa ricorrenza nel proprio calendario repubblicano, grazie alla legge 20 dell’8 marzo, approvata all’unanimità dal Parlamento. Quest’anno la manifestazione si svolgerà a Milano e non potrebbe esserci piazza migliore: per ricordare il 1993, per ricordare che la mafia è presente al Nord come al Sud (la Cassazione sul processo Aemilia ha scritto una ulteriore pagina inequivocabile sul punto), ma anche per ricordare tutte le donne, come Lea Garofalo, vittime di violenza mafiosa subita all’interno delle famiglie a cui appartengono e dalle quali cercano di liberarsi, correndo rischi altissimi e spesso senza un adeguato sostegno da parte dello Stato.