di Giuseppe Saragnese*

Ero al campo sportivo dell’oratorio di Brusaporto (BG). Nel pomeriggio stavo vedendo con altri genitori la partita di calcio dei nostri figli. Mi ricordo che si parlava del coronavirus, dei fatti della Cina, dei primi casi in Italia, della Lombardia, di Codogno. Mi chiedevano come andava la situazione al Papa Giovanni di Bergamo e ad un certo punto si sentirono le notizie del Pronto soccorso di Alzano chiuso per tre ore e poi inspiegabilmente riaperto. Le dichiarazioni ufficiali ormai le conosciamo e i primi casi accertati di Covid-19, il trasferimento presso l’ospedale Asst Papa Giovanni XXIII. L’inizio del caos nei Ps e nei reparti.

Da un po’ di giorni nel nostro ospedale c’era fibrillazione, preoccupazione e disorientamento. L’acronimo più nominato in quel periodo era Dpi (dispositivi di protezione individuale), praticamente le mascherine chirurgiche, guanti, camici, sovrascarpe e cappellini. Nella settimana precedente a noi del personale vennero consegnate le mascherine al personale (una a testa), con la raccomandazione di usarle con parsimonia – anche per non turbare i pazienti e i parenti. La realtà è che non c’erano abbastanza scorte di mascherine e ognuno si arrangiava come poteva. Nel giro di pochi giorni l’ospedale diventò una bomba microbiologica. Interi reparti convertiti in settori Covid. Aumentarono vertiginosamente i pazienti morti e iniziarono i primi casi di contagio tra il personale, che purtroppo avrà casi gravi che finiranno in terapia intensiva; altri moriranno (gli ultimi dati, fonte Inail, parlano di un centinaio di infermieri morti e oltre 100mila infettati in Italia). Ricordo benissimo la morte di un operatore del 118 di Bergamo di 47 anni.

A questi si aggiungono i numerosi medici (ospedalieri e di base) e Oss (moltissimi delle Rsa) e tutto gli altri che lavorano all’interno degli ospedali, compresi i numerosi operai delle ditte di appalto. Ricordo benissimo la febbre, i dolori articolari e quel senso di fame d’aria che continuarono per settimane. Due giorni dopo (25/02/2020) la Protezione civile comunica che sono 322 le persone contagiate, di cui 240 in Lombardia. Il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, dichiara in Consiglio Regionale: “Situazione difficile, ma non così tanto pericolosa. Il virus è molto aggressivo nella diffusione, ma poi nelle conseguenze molto meno. Fortunatamente è poco più di una normale influenza”.

A queste parole molti credettero, la Confindustria continuò a mantenere le fabbriche aperte, sindaci di grandi città (Milano-Bergamo non si ferma), ecc. Parole che oggi suonano come una beffa. Uno a cui i lombardi hanno dato ancora fiducia nelle recenti elezioni regionali pur con una scarsissima affluenza dovuta a una sfiducia generalizzata – che però è incomprensibile e dimostra che si è dimenticato in fretta quel che è successo in questi tre anni.

Ciascuno di noi ha reagito attivando i suoi mezzi di difesa per difendere la salute. Alcuni hanno raccontato storie diverse mettendo in dubbio quello che succedeva. Qualcuno ha speculato: le grandi case farmaceutiche. Chi aveva responsabilità politiche sia a livello nazionale che regionale ha sbagliato e se ne assumerà le conseguenze. La procura di Bergamo a giorni dirà le sue conclusioni (anche se avreI voluto che fossero state date prima delle elezioni regionali), ma le parole del procuratore di Bergamo parlano chiaro: “Abbiamo accertato gravi violazioni sulla gestione della pandemia, sulla mancata zona rossa in Val Seriana, su tutto quello che doveva essere fatto e non lo è stato”.

Intanto oggi voglio ringraziare tutti i membri del personale sanitario passati in poco tempo da eroi a untori e poi picchiati nei pronto soccorso, che devono lavorare sempre con carichi di lavoro aumentati dopo il Covid, a cui i vari governi hanno continuato a tagliare le risorse per la sanità pubblica. Praticamente non è cambiato nulla. Ringrazio tutti i cittadini che non hanno dimenticato, i vari comitati della salute pubblica, le giornaliste Francesca Nava, Gessica Costanzo, la sindacalista Eliana Como, l’avvocato Consuelo Locati, Vittorio Agnoletto (Medicina democratica) e tutti quelli che non hanno dimenticato.

*Infermiere Ospedale Papa Giovanni XXIII, Bergamo

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