“Il consumismo ha infettato tutto e le persone. Pur di avere quello che possiedono gli altri sono disposte a qualunque cosa […]” e “tutto ciò è stato causato dalla tv colpevole di aver rovinato l’umanità”. L’ha detto forse Marshall McLuhan, il sociologo che ha analizzato gli effetti dei media sulla società? Oppure Pier Paolo Pasolini nei suoi scritti sulla “stupidità delittuosa della televisione” in una società omologata dal consumismo? Macché, l’ha detto Alberto Sordi, che celebriamo oggi a un ventennio dalla morte (24 febbraio 2003).
Sordi è sempre stato, infatti, per mezzo secolo un uomo di cinema e lo è stato profondamente e indefessamente calandosi nei personaggi a costo di sacrificare la propria vita privata. Attore o regista che fosse ha interpretato l’italiano con i suoi difetti, spesso criminali (pensiamo allo spacciatore di bambini ne Il giudizio universale – ’66 – del suo grande amico Vittorio De Sica). Ma, soprattutto nei suoi ultimi film, ci ha offerto personaggi tristi, patetici (Nestore, l’ultima corsa, diretto e interpretato a 74 anni che affronta, sostanzialmente, il tema della difficoltà dell’essere vecchi laddove, finalmente, non è lui a interpretare un personaggio negativo, ma è la società in cui vive ad essere crudele).
Alberto Sordi riposa al Cimitero del Verano di Roma, riquadro 24, fila 5, cappella I, una solenne tomba meta di tanti cittadini che non lo dimenticano e lo omaggiano con fiori e affettuosi bigliettini. A lui sono stati intitolati centri per la salute degli anziani, scuole, fondazioni benefiche e gallerie nel centro di Roma. Ha scritto di lui Gianni Canova, rettore dello Iulm di Milano, che è “l’ultimo erede contemporaneo di una tradizione teatrale antichissima, che risale alle maschere plautine e arriva […] via via fino ai sonetti di Giuseppe Gioacchino Belli”.
Uomo riservatissimo, rigido protettore della sua privacy ha scatenato incredibili dicerie: non essendosi mai sposato è stato falsamente tacciato da un basso gossip di essere gay (come se esserlo, fra l’altro, fosse un peccato che andava nascosto, come ai tempi della Hollywood di Rock Hudson o Montgomery Clift). I flirt di Sordi sono stati tanti, ma nascosti. La sola relazione manifesta fu quella con Andreina Pagnani, grande attrice teatrale. Ci furono anche flirt – confermati dai parenti dell’attore (“potrete rivelarli solo quando sarò ‘orizzontale’” aveva raccomandato) con la contessa Patrizia de Blanck (ritrovata dal pubblico televisivo a L’Isola dei famosi nel 2008 e al Grande Fratello Vip nel 2020); con Katia Ricciarelli (Sordi era anche un cantore d’opera); con Shirley MacLaine (a Londra); con Soraya (la sola donna della quale tenesse una foto sulla scrivania della sua mega-villa romana di via Druso, oggi museo); e, forse, persino con Silvana Mangano (della quale era cotto).
Senza considerare le meno note ballerine, ai tempi in cui il giovane Sordi faceva l’avanspettacolo, un mondo magistralmente ricostruito nel suo Polvere di stelle, del ’73, al fianco di Monica Vitti. Fu in grande sintonia, fra gli altri, con Aldo Fabrizi e Marcello Mastroianni che Sordi doppiò in Una domenica d’agosto del ‘50 di Luciano Emmer (come pure diede la voce a decine di attori stranieri, fra i quali Ollio). È amico fraterno di Federico Fellini (“Eravamo du’ poveracci senza na’ lira che mangiavamo in una latteria di via Frattina, ci facemmo amici della cuoca che ci nascondeva le bistecche sotto gli spaghetti. Questa è la verità. Se Federico dice altro, non ci credete. Del resto lui è un gran bugiardo, il più bugiardo del mondo. Ma c’ha na’ capoccia così!”).
Superata la fase della fame, anni più avanti, Fellini girò quasi consecutivamente – ’52 e ’53 – Lo sceicco bianco (accolto alla prima da sputi, come del resto La dolce vita, otto anni dopo) e I vitelloni. Non fu amico di Sordi, invece, Nino Manfredi. I due non si piacevano. E neppure Carlo Verdone pronunciò, dopo il primo film insieme, In viaggio con papà (’82), belle parole nei confronti di Sordi dichiarando pubblicamente che Alberto gli fu imposto dalla produzione (lui voleva Leopoldo Trieste) e che, in sintesi, Albertone (come odiava essere chiamato) gli rovinò il film Troppo forte (’86).
Cattolico praticante ed elettore democristiano, Sordi è stato un conservatore, mai, però, un reazionario. Lui stesso spiegò, in più interviste, che, in quanto attore, sullo schermo diveniva il suo personaggio. Fosse di destra o di sinistra non gli importava; fosse un meschino sbruffone (Un eroe dei nostri tempi, ’55, di Mario Monicelli) o un pavido (l’ex partigiano di Una vita difficile di Dino Risi,’61, che ritengo il suo miglior film insieme con Un borghese piccolo piccolo,’77, di Monicelli dove è un poveraccio che si trasforma in giustiziere). A volte, però, il pavido può rinascere eroe come ne La grande guerra,’59, capolavoro di Monicelli dove la coppia Sordi-Gassman tocca sublimi livelli interpretativi e come in Tutti a casa (’60) di Luigi Comencini dove è un sottotenente in ritirata che, solo dopo la morte del compagno (Serge Reggiani), trova la forza di ribellarsi all’oppressore tedesco.
Fra il suo primo film, Scipione l’Africano (’37) di Carmine Gallone, dove fa una comparsata come soldato romano e l’ultimo, Incontri proibiti (’98) a fianco di Franca Faldini, compagna del principe Antonio De Curtis (che Alberto stimava molto e con il quale lavorò solo in un film, Totò e i re di Roma del ‘52 di Steno e Monicelli) ce ne sono altri 221. Poi le regie, non sempre riuscite. Nessun rimpianto ha avuto Sordi, tranne quello di non aver mai ricevuto un Oscar, ma forse lo ha consolato sapere che non ne ebbe uno neppure Charlie Chaplin.