Da quasi un anno, da quando è scoppiato il conflitto, non c’è argomento più divisivo nello sport della partecipazione di russi (e bielorussi) alle competizioni internazionali. E oggi il tema sembra spaccare anche il Comitato olimpico internazionale dal blocco occidentale
No agli atleti russi, sì ma solo senza bandiera, forse come rifugiati, anzi non se ne parla proprio. Più passa il tempo, più si avvicinano le Olimpiadi, e più la guerra in Ucraina diventa un problema, anche per lo sport. Tanto da spaccare il movimento, creare una frattura fra il Comitati olimpici e i governi nazionali: un vero e proprio caso diplomatico a livello mondiale, tra la dichiarazione di apertura del Cio e la lettera di 34 Paesi europei che chiudono ogni spiraglio, mentre l’Ucraina del presidente Zelensky minaccia il boicottaggio.
Da quasi un anno, da quando è scoppiato il conflitto, non c’è argomento più divisivo nello sport della partecipazione di russi (e bielorussi) alle competizioni internazionali. Si è visto anche in Italia, con le polemiche sulla partecipazione dei tennisti di Mosca agli Internazionali del Foro Italico, ma vale ovunque. Dopo le turbolenze iniziali, la situazione sembrava essersi assestata. Nelle leghe private (l’Atp appunto, ma la stessa Serie A), i russi partecipano a titolo individuale come professionisti, nulla osta alla loro presenza. Diverso se in ballo c’è la bandiera, in competizioni direttamente affiliate alle Federazioni (come ad esempio gli ultimi Europei di nuoto), permane il divieto. A dettare la linea, è stata una raccomandazione del Comitato esecutivo del Cio, appena iniziata la guerra. Proprio al Comitato olimpico internazionale, però, si deve il recente intervento che ha scoperchiato di nuovo il vaso di Pandora.
“Per proteggere l’integrità dello sport globale e la sicurezza dei partecipanti, si raccomanda gli organizzatori di non invitare atleti o dirigenti russi e bielorussi in competizioni internazionali”. “Rispettare i diritti di tutti gli atleti a essere trattati senza discriminazioni in accordo con la carta olimpica, a nessuno dovrebbe essere impedito di partecipare a una competizione solo per il suo passaporto”. Le dichiarazioni sembrano dire l’una l’opposto dell’altra eppure appartengono entrambe al Cio: la prima è del 28 febbraio 2022, la seconda del 25 gennaio 2023. Che cosa è successo in mezzo?
Semplice: è trascorso un anno, della guerra non si vede la fine e soprattutto si avvicinano le Olimpiadi. Da qualche mese il presidente Thomas Bach ha cominciato ad ammorbidire la linea, parlando di spiragli e trattative. Perché la corsa a Parigi 2024 è già iniziata: i ranking per la partecipazione si chiudono nella primavera dell’anno prossimo, ma i punti vanno fatti nelle competizioni precedenti; quanto alle squadre nazionali, la partecipazione si conquista nei tornei di qualificazione che sono già quasi stilati. La prospettiva di un’edizione senza Russia, non solo come bandiera ma anche proprio come atleti, è sempre più concreta e sempre meno gradevole. Sia a livello sportivo (si tratta di un colosso dello sport mondiale), che economico (rappresenta una grossa fetta del mercato, pure dei diritti tv come già raccontato dal Fatto.it, anche se questo discorso vale più in prospettiva, per la gara del prossimo ciclo olimpico).
Soprattutto così si spiega la giravolta – difficile chiamarla altrimenti – del Cio. Un gesto di distensione che però ha assunto i contorni della gaffe maldestra. L’apertura è stata accolta malamente dall’intero blocco dei Paesi Ue, chiamati a raccolta da Zelensky in persona. A un incontro virtuale col presidente ucraino tenutosi lo scorso 10 febbraio, ha fatto seguita una lettera di 34 Paesi (Italia compresa: per il nostro governo ha firmato il ministro dello Sport, Andrea Abodi), che chiude ogni spiraglio. Visto che “la situazione in Ucraina continua a peggiorare, non c’è ragione di rivedere la precedente sospensione”, la sintesi del documento. Anche perché il punto sottolineato dai governi è che non si capisce come questa presunta neutralità dovrebbe tradursi in concreto: se semplicemente rinunciando ai colori della bandiera (troppo poco), o con una vera e propria dichiarazione pubblica da parte degli atleti, che in molti casi appartengono alle forze armate russe (come del resto in Italia i nostri sono spessi affiliati ai gruppi sportivi militari). La soluzione non andrebbe bene quasi a nessuno, né ai Paesi più oltranzisti che non ne vogliono sapere, né alla stessa Russia che non intende subire l’umiliazione a livello internazionale, né tantomeno ai diretti interessati (sarebbe ingiusto chiedere a chi ha casa e famiglia in Russia di esporsi in questo modo).
Le posizioni per altro sono molto eterogenee di governo e governo, tra la Francia possibilista (Macron di recente aveva chiesto di non politicizzare lo sport), gli stessi Stati Uniti (la Casa Bianca guarda di buon occhio la partecipazione sotto bandiera neutrale che potrebbe danneggiare l’immagine del regime di Putin), e chi invece non ne vuole sapere, come il Regno Unito. Ma la lettera è stata firmata comunque all’unanimità dal blocco occidentale e oltre a rappresentare uno schiaffo diplomatico senza precedenti al Cio, ha chiarito la situazione: finché non finirà la guerra, sarà quasi impossibile trovare una soluzione. E lo sport continuerà a dividere, invece che unire.
Twitter: @lVendemiale