Cinema

Le mura di Bergamo, un film documentario esemplare sul dolore e la resistenza in piena pandemia da Covid

Il nuovo lavoro di Stefano Savona è presentato nella sezione Encounters alla 73ma Berlinale. “Questo film ha la funzione di trasformare il rimosso in metabolizzazione, del resto per questo il cinema esiste” conclude il regista

di Anna Maria Pasetti

“Io ho visto l’inferno”. È una frase che non va dimenticata, per questo motivo e per mille altre qualità, il nuovo lavoro di Stefano SavonaLe mura di Bergamo – presentato nella sezione Encounters alla 73ma Berlinale, è un film documentario esemplare per il suo estremo valore storico, sociale e (non per ultimo) cinematografico. In punta di piedi, e con uno sguardo polifonico grazie al coadiuvo di alcuni giovani ex studenti del CSC di Palermo, il grande cinema documentario di Savona si è messo in osservazione e in ascolto di quanto stava accadendo a Bergamo dal marzo 2020, in piena pandemia da Covid-19, ma anche di quanto sarebbe avvenuto nei mesi a seguire, testimoniando l’inizio di un lungo processo di elaborazione di un lutto e di una ferita emotiva collettivi a seguito di una pandemia dell’era moderna senza precedenti.

Con “il corpo della città di Bergamo quale protagonista assoluto, prima ferito e poi che vuole guarire, ricomporsi e ricostruirsi” – spiega il cineasta palermitano – il film mette in scena la resistenza e la resilienza (vocabolo tornato in uso non casualmente in occasione dei lockdown planetari dovuti al diffondersi del virus) della popolazione locale, e inizia proprio inquadrando le finestre domestiche, il vetro come filtro tra l’interno e l’esterno: un punto di vista “fuori-mura” per dirla giocando col titolo, mentre nello sfondo sonoro silenzioso si stagliano i suoni delle campane cittadine. È la quiete non prima, bensì al primigenio inizio della tempesta, quando tutto era ignoto, tutto era oscuro. “Anche noi quando siamo stati chiamati dai produttori a fare un film su questa catastrofe al suo inizio non sapevamo nulla. Eravamo impreparati, c’è voluto tanto tempo per capire, ancora di più per elaborare e dunque tecnicamente montare. Nel complesso abbiamo lavorato 3 anni al film”.

Alle campane iniziali si sovrappongono squilli di telefoni caoticamente orchestrati, voci di operatori sanitari che offrono gli insicuri consigli di cui sono capaci, richieste d’aiuto imprecise come i sintomi della malattia allora ancora troppo misteriosi. La narrazione penetra la tragedia incombente. Si entra negli ospedali sconvolti e travolti, volti umani inseriti nei CPAP, respiratori di ogni tecnologia, è una rincorsa a salvare vite, ma anche alla terrificante scelta di quali salvare tra le infinite che chiedono aiuto. Ecco che i corpi fragilissimi dei pazienti trovano il controcampo in quelli diversamente fragili del personale medico: consultazioni, frustrazioni, sensi di colpa. Cosa fare, chi salvare, come resistere?

Le Mura virulente della città lombarda che vanta una dimensione Bassa e una Alta si pietrificano schiacciando le vite: arrivano i morti, le casse accumulate, la sfilata notturna dei furgoni blindati carichi di bare. Una scena che il documentario di Savona giustamente ripropone dai repertori della cronaca telegiornalistica che fece il giro del mondo.

È toccando il punto più profondo e oscuro della disperazione che si può iniziare a immaginare una luce all’orizzonte. Guardare avanti, guardare in alto. Come è accaduto all’avvento dell’estate e soprattutto dei vaccini, anche il documentario si sintonizza sul “post-pandemia”. Inizialmente frammentato, timido, totalmente impreparato. Poi più organizzato in gruppi d’ascolto che mutano in gruppi d’intervento volontario. Da dove partire? Dal (rac)conto dei morti in famiglia, nella comunità d’appartenenza: una giovane mamma di famiglia è la titolare di un’agenzia funebre. Non ha mai visto né vissuto qualcosa del genere nel bergamasco a memoria propria e non solo. Il senso di impreparazione, la colpa per non aver “prestato la cura adeguata a ciascuno defunto”, l’inadeguatezza che rievoca quella degli operatori sanitari. Il trauma ancora non è chiaro, ancora troppo offuscato dal dolore acuto. A tal proposito le riprese sui luoghi e persone sono intervallate da materiali d’archivi fotografici e audiovisivi locali che intercettano, per verosimiglianza, i racconti raccolti dagli autori i sogni e i pensieri di chi era in terapia intensiva “la realtà contaminata dall’immaginazione, tutto frammentato, tutto confuso”. Ma anche segmenti del passato di chi è sopravvissuto che ricorda se stesso da piccolo: come e chi eravamo, cosa è successo per aver cambiato così radicalmente la nostra vita? “Con il recupero della coscienza, la memoria si dilata, e diventa il ricordo di una vita, ricordi quasi filologici. Per molti questa esperienza ha sancito un prima e dopo in termini di consapevolezza di sé” sottolinea Savona.

La lenta ricostruzione passa attraverso fasi precise, prima interiori e poi esteriori, certamente individuali ma anche collettive. Riconoscere e accettare la perdita, perdonarsi per essere sopravvissuti proprio come a una catastrofe climatica o a un genocidio, accettare l’impotenza, sconfiggere i tabù ed infine, forse, attrezzarsi a parlare di come preservare la Memoria di chi non ce l’ha fatta. Si può guardare il cielo ora, si può tornare a Bergamo Alta costeggiando le Mura millenarie. Si può tornare a guardare il passato, anche remoto, e sorridere. Ecco riemergere i volti, i corpi, i gesti degli antenati dei sopravvissuti o dei defunti bergamaschi: quelle persone continuano a vivere dentro la Memoria in costante movimento e mutazione di chi la conserva ed esperisce. “Questo film ha la funzione di trasformare il rimosso in metabolizzazione, del resto per questo il cinema esiste”, conclude Stefano Savona. Le mura di Bergamo dall’imponente ma giustificata durata di 137’, è realizzato in collaborazione con alcuni ex alunni del CSC del regista (Danny Biancardi, Sebastiano Caceffo, Alessandro Drudi, Silvia Miola, Virginia Nardelli, Benedetta Valabrega, Marta Violante) ed è prodotto da Iervolino & Lady Bacardi Entertainment e Rai Cinema. Uscirà nelle sale a partire da Bergamo verso metà marzo grazie a Fandango.

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