Se la storia insegna qualcosa, come dovrebbe, è che i russi tendono a unirsi e a sopportare sacrifici quando sono impegnati in un conflitto. Certamente la repressione del dissenso e la propaganda aiutano ma quello sgretolamento del consenso tra la popolazione, premessa per un avvicendamento ai vertici del paese, non sembra per ora essere in atto. La guerra in Ucraina, inizialmente presentata come una questione di poche settimane, compie un anno senza che se ne possa ipotizzare una conclusione prossima. Le vittime si contano in decine di migliaia. Eppure, secondo alcune rilevazioni indipendenti riportate dall’agenzia statunitense Bloomberg, la maggioranza dei cittadini russi afferma di essere pronta a continuare a combattere. Il consenso verso Vladimir Putin non è sceso, si è anzi lievemente rafforzato.

Soltanto un russo su cinque si dice favorevole a deporre le armi sin da ora, cosa che significherebbe una sostanziale ammissione di sconfitta. Il 75% della popolazione afferma di sostenere le azioni delle truppe di Mosca in Ucraina, una quota rimasta costante negli ultimi 12 mesi. Appena il 19% le critica. L’incancrenirsi del conflitto ha rafforzato il supporto della popolazione nei confronti dei propri soldati. Il messaggio del Cremlino secondo cui il paese non sta combattendo contro la sola Ucraina ma con tutto l’Occidente sembra aver fatto breccia, portando ad un’ accettazione relativamente serena delle ricadute del conflitto nella vita di tutti i giorni. Bloomberg documenta anche come si moltiplichino le iniziative a sostegno delle truppe, come la raccolta nelle scuole di prodotti da inviare al fronte.

Per quanto amari siano, Putin, a cui in molti riconoscono il merito di aver resuscitato un orgoglio nazionale spento dopo il crollo dell’Urss, raccoglie i frutti di una politica di indottrinamento, controllo e repressione del dissenso portata avanti da anni, attingendo a un retroterra culturale radicato nella società russa. I gruppi ideologicamente più ostili e dotati dei mezzi per disturbare davvero il Cremlino sono stati messi a tacere e in molti casi i loro membri hanno ormai lasciato il paese. Gli indecisi, di fronte all’obbligo di schierarsi che fisiologicamente accompagna un’entrata in guerra, hanno scelto il sostegno al proprio paese. Il presidente russo non solo non sembra sentirsi in discussione ma pare voler rilanciare, ricandidandosi nelle elezioni del 2024 che, se vinte, gli consentirebbero di guidare il paese almeno fino al 2030.

L’umore della popolazione tiene anche perché sinora le ricadute del conflitto non sono così terribili. Le sanzioni economiche richiedono tempo per dispiegare i loro effetti e il paese può contare su paesi amici che aiutano a smussarne le ricadute. L’economia ha retto meglio del previsto. I commerci con i paesi non ostili sono aumentati. L’anno scorso gli scambi con la Cina sono saliti del 34% a 190 miliardi di euro, le importazioni dalla Turchia sono salite del 62% sopra i 9 miliardi di euro, quelle dal Kazakistan del 25% a 8,5 miliardi. Spesso si tratta di semplici triangolazioni. Società turche che comprano, ad esempio, prodotti italiani o francesi e li rivendono in Russia. In India e in Cina solo il 5% della popolazione ritiene che Mosca sia un nemico. In Turchia il 10%. Grazie ai proventi della vendita di idrocarburi che continuano ad affluire nelle casse del Cremlino, Mosca è stata in grado di assicurare aiuti alle zone e ai settori più in difficoltà.

Un’inchiesta dell’agenzia Reuters ha mostrato come la penuria di prodotti occidentali sia ancora più teorica che reale. Sebbene diversi marchi europei e statunitensi abbiano lasciato il paese i loro prodotti, non sottoposti a sanzioni, continuano ad arrivare. I tempi di consegna sono più lunghi, perché il tragitto avviene con triangolazioni su altri paesi, ma alla fine bottiglie di Coca Cola, finiscono sugli scaffali. Per altri tipi di merci, a cominciare dai vestiti Zara o ai prodotti Ikea, si ricorre all‘on line, anche in questo caso con l’unico inconveniente di dover attendere qualche giorno in più. La Inditex, ossia i marchi Zara, Massimo Dutti e Bershka, ha sì lasciato la Russia ma non la confinante e alleata Bielorussia da cui i prodotti varcano il confine senza problemi. Molti i giovani russi che vivono in Europa, Istanbul o Dubai che organizzano pagine web per raccogliere ordini per fare acquisti in loco da spedire poi in patria. Inoltre il rafforzamento del rublo ha reso molti prodotti esteri particolarmente a buon mercato, più che compensando i costi di spedizione. Lattine e bottiglie di Coca Cola arrivano da tutta Europa, costano più di prima ma, anche in questo caso, il rublo forte attenua la differenza. Reuters documenta insomma come stia prendendo forma una rete commerciale alternativa, con tanti piccoli soggetti attivi e un maggiore ricorso all’e-commerce.

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