Da un anno ormai, la Russia vive penalizzata da sanzioni occidentali senza precedenti. Finora sono oltre 13mila le misure restrittive finanziarie, commerciali e personali, da più di 40 paesi. Ma quali sono i reali effetti su Mosca? Benché i dati non siano precisi e le valutazioni spesso discordanti, all’inizio del 2022 le sanzioni hanno colpito duramente l’economia, l’industria e la società russe. Il crollo del rublo e lo choc del sistema bancario hanno provocato panico finanziario e code ai bancomat. I beni russi sono stati congelati mentre le restrizioni alle esportazioni hanno fermato gran parte del commercio mondiale con la Russia: ad aprile, secondo il think tank Silverado Policy Accelerator, le importazioni avevano subito un calo del 43% rispetto ai livelli prebellici. Il divieto ha toccato, tra l’altro, beni cruciali e tecnologie necessarie per la produzione di armi e attrezzature militari. Scaffali vuoti e code sono comparsi nei negozi, e gli esperti preannunciavano l’arrivo per la Russia di una profonda crisi.

Guadagni record su petrolio e gas – Ma, trascorso un anno, l’economia si è rivelata più stabile del previsto. Innanzitutto, il Cremlino era pronto alla guerra, e aveva provveduto a un cuscinetto di sicurezza finanziario ritenuto sufficiente per compensare i buchi di bilancio per un paio d’anni. Inoltre, grazie alle rapide contromisure della Banca centrale russa, la crisi è stata contenuta ed è stata ripristinata una certa stabilità. Fondamentali le scelte fatte dal governo, inclusa l’assistenza fornita alle piccole e medie imprese. In terzo luogo, l’anno scorso le esportazioni verso l’Europa sono calate, ma i rincari del gas causati dalla guerra hanno più che compensato le minori vendite in termini di ricavi.

Le sanzioni europee, poi, non sono riuscite a bloccare del tutto l’esportazione di merci verso la Russia. Secondo la società di ricerca Euromonitor International, i flussi di un’ampia varietà di merci (dagli smartphone al carburante per aerei) dall’Ue sono stati reindirizzati in Bielorussia, Armenia, Kazakistan, Georgia, Uzbekistan, Kirghizistan e Turchia, e da lì in Russia. A gennaio, Silverado Policy Accelerator ha calcolato che grazie a questi paesi, la Russia è riuscita a far tornare le importazioni di chip, gadget, lavatrici, frigoriferi, automobili e pezzi di ricambio vicino ai livelli pre-crisi. Inoltre, i produttori russi hanno aumentato i loro acquisti da fornitori esistenti, ne hanno trovati di nuovi, hanno potuto rifornirsi di molti beni, hanno aumentato i pagamenti in yuan e, di conseguenza, sono riusciti a sostituire la maggior parte delle apparecchiature. Inoltre, meno del 9% delle aziende dell’UE e del G7 ha effettivamente lasciato la Russia a causa della guerra. Come hanno scoperto gli economisti svizzeri, la maggior parte di loro continua a lavorare e investire in Russia. Infine, un altro motivo per cui l’economia russa ha resistito alla pressione delle sanzioni è che le restrizioni non sono state introdotte tutte insieme ma gradualmente, e a volte si compensavano a vicenda. In questo contesto, le misure relative all’esportazione di petrolio e derivati, introdotte quasi un anno dopo l’invasione, sembrano essere state più efficaci: a gennaio, le entrate della Russia dalla vendita di risorse energetiche sono diminuite del 46% rispetto al gennaio 2022.

Carbone e metallo, due industrie in crisi – A lungo termine, però, tutte le sanzioni avranno un effetto. Emarginata, la Russia è rimasta senza investimenti, tecnologia e ricchi mercati occidentali per i suoi prodotti. Le aziende russe sono in “modalità sopravvivenza” e non hanno fretta di fare investimenti seri. L’industria del carbone sta attraversando il periodo più difficile della storia moderna: deve venderlo con enormi sconti e ridurre l’estrazione. I metallurgisti russi dichiarano di “non sapere che fare” con 30 milioni di tonnellate di acciaio prodotto: “Il mercato interno può assorbirne 3 milioni. Cosa si fa con il resto?”, ha dichiarato il capo dell’Unione russa degli industriali e degli imprenditori Alexander Shokhin.

Dai dentisti alle pompe funebri – Le tipografie russe rischiano di chiudere a causa della carenza di attrezzature e pezzi di ricambio occidentali, che sono circa il 90%. Il ministero della Salute avverte di una possibile carenza di farmaci di base nelle farmacie. I dentisti lamentano la mancanza di cemento dentale e anestetici importati, i chitarristi di corde di qualità, le ballerine del Teatro Bolshoi di scarpe da punta. L’unico business che oggi sta vivendo i suoi giorni migliori (a parte l’industria militare) sono le pompe funebri. I crematori aprono a una velocità impressionante; il personale delle pompe funebri vende un quantitativo importante di bare, loculi in apposite aree “soldati” e corsi per preparare i cadaveri.

Nel frattempo, la popolazione nota di aver iniziato a spendere di più e guadagnare di meno. L’economista dell’Università della California Oleg Itskhoki ritiene che nel 2022 il tenore di vita dei russi sia diminuito del 10-12%. Lo si può giudicare, tra l’altro, dall’andamento del commercio al dettaglio, in calo da marzo. Nel corso dell’anno è calato di quasi il 10%, motivo per cui alcuni esperti – citati dal Washington Post – concludono che anche le famiglie russe sono “in modalità crisi”. La classe media è stata quella più colpita dalle sanzioni, ovvero i residenti della città, segmento che ha qualcosa da perdere. I ricchi, a giudicare dal ritiro dei capitali dal paese, hanno salvato quello che potevano, e i poveri sono stati aiutati dallo Stato, specie per fare fronte all’inflazione dei generi alimentari.

L’inflazione dall’elettronica alle medicine – Alla fine del 2022, l’inflazione in Russia era quasi al 12%. Ad aumentare di più sono stati i prodotti per la pulizia (30%) e l’elettronica (15%); i servizi sono diventati più costosi in media del 13% mentre le medicine e i prodotti alimentari dell’11%. I latticini, la pasta, il pesce e lo zucchero ora costano ai russi il 13-15% in più. A proposito, a causa della carenza di inchiostro, l’Agenzia federale per la regolamentazione è pronta a modificare i requisiti per l’imballaggio alimentare: le informazioni sul luogo e sulla produzione delle merci, la data di scadenza e la data di produzione potrebbero scomparire dalle etichette.

La stabilità e gli extra-profitti dell’energia – La Russia ha aperto l’anno con il più grande deficit di bilancio dal default del 1998: 1,78 trilioni di rubli (oltre 22 miliardi di euro), ovvero 14 volte di più rispetto all’inizio del 2022. Secondo varie stime, quest’anno il Pil diminuirà del 3,3-5,6%. Potrebbe anche crescere dello 0,3%, a giudicare dalle previsioni aggiornate del Fondo Monetario Internazionale. Supererebbe le aspettative delle stesse autorità russe che prevedono un calo dallo 0,8% al 4%.

In un rapporto fatto per il fondo analitico Re:Russia, quattro economisti hanno analizzato la reazione atipica dell’economia di Mosca allo choc delle sanzioni e hanno concluso che nel 2022 la stabilità politica è stata assicurata principalmente dai extra-profitti inaspettati derivanti dall’aumento dei prezzi dell’energia. Perciò, dicono, con il calo delle entrate, l’economia russa potrebbe precipitare in una crisi progressiva. Secondo le stime di Bloomberg, la Russia ha già perso a causa della guerra più dell’economia ucraina, e in futuro quasi tutto ciò che riceve dalla vendita di risorse energetiche andrà a sostenere l’esercito. Bloomberg Economics ha calcolato che entro il 2026 il Pil della Russia risulterà inferiore di 190 miliardi di dollari (8%) rispetto a quanto sarebbe stato senza la guerra, una cifra paragonabile al Pil dell’Ungheria.

Nonostante non ci sia stato il crollo dell’economia, il Paese sta scivolando sempre più in modalità sopravvivenza. Una riduzione delle importazioni di tecnologia limita la futura crescita economica mentre lo schema di importazione parallela porta all’inondazione di negozi di prodotti contraffatti e al ritorno al livello di commercio degli anni ’90. E comunque, oltre alle sfide esterne, ce ne sono anche interne: il deflusso di popolazione economicamente attiva e di capitali dal Paese, così come l’invio di uomini in guerra, crea la carenza di personale qualificato e in generale di lavoratori.

Il professore di Harvard ed ex capo economista del FMI Kenneth Rogoff ritiene che la Russia dovrà affrontare “un incredibile livello di povertà” e la trasformazione in un “gigantesco Iran”. Secondo Alexandra Prokopenko, giornalista indipendente ed esperta di politica economica russa presso il Carnegie Endowment, ci vorranno dai tre ai cinque anni perché il declino possa arrestarsi.

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