Un trilione di dollari, ovvero mille miliardi. A tanto ammontano, secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), i sussidi ai combustibili fossili erogati dai governi nel 2022. Una cifra monstre che è raddoppiata rispetto al 2021, quando l’indicatore dell’Iea si era fermato a “solo” 532 miliardi, livello che era già superiore del 20% rispetto al periodo pre-pandemico. Colpa della crisi energetica che ha fatto esplodere i prezzi di gas e petrolio, certo, ma anche dei Paesi esportatori, che contano per oltre la metà del totale dei sostegni. Nel 2021, ad esempio, la Russia ha speso 78 miliardi di dollari per fornire ai propri cittadini benzina e gas a prezzi scontati, l’Iran 59 e la Cina 52. Va detto che, per ovvie ragioni, quasi tutti i sussidi sono stanziati dai Paesi emergenti o in via di sviluppo.
Gli incentivi stimati da Iea riguardano sia i combustibili fossili usati direttamente dai consumatori finali sia quelli che sono utilizzati per la produzione di energia elettrica. Nello specifico, l’anno scorso 399 miliardi sono andati a favore dell’elettricità, 346 miliardi al gas naturale, 343 miliardi al petrolio (+85%) e 9 al carbone. Nel suo ultimo studio, “Fossil Fuels Consumption Subsidies 2022”, Iea sottolinea che l’incremento dei sussidi “è particolarmente preoccupante in un momento in cui dovremmo raddoppiare gli sforzi per tagliare i consumi inutili e accelerare la transizione verso l’energia pulita”.
Inoltre, prosegue l’Agenzia, i contributi ai combustibili fossili “distorcono il mercato, mandano segnali di prezzo sbagliati agli utenti, ampliano i deficit fiscali nelle economie in via di sviluppo e scoraggiano l’adozione di energie rinnovabili”. Per di più, i sussidi sono anche in contrasto con il Patto sul Clima siglato a Glasgow in occasione della Cop 26 del 2021, la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Il documento impegna i governi a eliminare gradualmente i sostegni ai combustibili fossili, introducendo, al tempo stesso, aiuti mirati a supporto dei ceti più poveri. Sul punto, i risultati dell’analisi dell’Iea mostrano che i sussidi varati nell’ultimo anno dagli Stati non rispettano le raccomandazioni della Cop 26. Sebbene siano stati utili a proteggere i consumatori dai rincari, hanno avuto come effetto collaterale quello di mantenere “artificialmente” competitivi i combustibili fossili nei confronti delle fonti rinnovabili.
Nel mirino dell’Iea non ci sono però solo i Paesi emergenti. Già, perché anche gli Stati europei sono stati costretti dai prezzi fuori controllo di petrolio e gas a introdurre misure contro i rincari. Nonostante non rientrino nella definizione Iea dei sussidi ai combustibili, dal momento che i prezzi per gli utenti finali sono rimasti in media al di sopra dei valori di mercato, gli interventi varati hanno drenato risorse fiscali importanti dai bilanci pubblici. Il conto totale delle misure emergenziali, aggiuntivo rispetto al trilione di dollari calcolato, è pari a 500 miliardi di dollari, la maggior parte dei quali stanziati dalle economie avanzate. Per calmierare i costi delle bollette, soltanto i Paesi Ue hanno messo sul piatto 350 miliardi di dollari.
Anche queste risorse, sottolinea Iea, sono state erogate a pioggia, senza che venissero indirizzate alle famiglie più bisognose, riducendo gli incentivi a consumare in modo efficiente e a passare ad altre fonti meno inquinanti. Nel ventaglio dei provvedimenti adottati, sono comprese le esenzioni da tasse e imposte (come avvenuto in Italia con l’Iva sul gas ridotta al 5%), vari meccanismi per compensare specifici gruppi di consumatori e sostegni destinati alle imprese energivore e alle utilities. “Alcune di queste misure”, scrive Iea, “possono essere difese sulla base di necessità politiche e sociali, date le difficoltà che la piena esposizione ai prezzi guidati dal mercato avrebbe potuto causare”. Tuttavia, si tratta di interventi che ostacolano la transizione ecologica. “Mentre molte altre misure adottate dai governi sono servite per accelerare la transizione”, spiega Iea, “questi interventi sui prezzi hanno funzionato nella direzione opposta favorendo i carburanti” fossili. Tra i provvedimenti presi dagli Stati Ue e che rientrano nelle stime dell’Agenzia, ci sono le diverse versioni del tetto ai prezzi dell’energia.
Come lo scudo introdotto dalla Francia, che ha congelato per quasi un anno le tariffe al dettaglio del gas e dell’energia elettrica per le famiglie, per poi limitare gli aumenti entro soglie stabilite. Il Regno Unito, invece, ha tagliato le tasse sui carburanti, mentre in Spagna a settembre del 2021 il governo ha imposto alle utilities di garantire “una fornitura minima vitale” della durata di dieci mesi alle famiglie che non fossero in grado di pagare le bollette. Stando ai dati Bruegel, da settembre del 2021, data che segna l’inizio della crisi energetica, per proteggere i consumatori dai rincari i Paesi europei hanno speso in totale 768 miliardi di euro. La Germania da sola ha stanziato 265 miliardi, pari al 7,4% del Pil (l’Italia 92,7, il 5,2%). Come ricorda Iea, soltanto per i primi quattro mesi del 2023, Berlino ha messo sul piatto 100 miliardi di euro. Ci sono poi da considerare le risorse destinate a sostenere le imprese e i fondi che sono serviti a ricapitalizzare le aziende in crisi. La Francia, alla fine del 2022, ha nazionalizzato Électricité de France, il principale operatore energetico del Paese, in grosse difficoltà anche per gli investimenti necessari alla manutenzione e al restauro dei reattori nucleari. La Germania, invece, ha concesso a Uniper, a corto di liquidità, una linea di credito di 13 miliardi di euro.