La notizia ha fatto il giro d’Europa e, anzi, forse del mondo intero in una manciata di ore. La Commissione europea ha chiesto al suo personale e ai suoi consulenti e collaboratori di disinstallare TikTok dai loro dispositivi per non meglio precisate ragioni di sicurezza.

Il tam tam della Rete e dei media tradizionali e non ha fatto il resto, trasformando questa decisione in una vicenda da prima pagina, a metà strada tra una spy story internazionale e un episodio di guerra fredda tra Europa e Cina. Vale la pena provare a fare un po’ di chiarezza, almeno per quanto possibile, sulla base degli elementi dei quali si dispone.

Cominciamo dal principio.

La Commissione europea, sin qui, ha semplicemente aggiornato la sua policy sull’utilizzo degli smartphone che i dipendenti usano per – o anche per – ragioni di servizio. Che si tratti di smartphone personali o della stessa Commissione dati in uso al suo personale. Si tratta di un intervento in tutto e per tutto analogo a quelli adottati da decine di migliaia di soggetti pubblici e privati in tutto il mondo con riferimento alle app più diverse. Ciascuno, nella propria organizzazione, detta le regole che ritiene utili a proteggere meglio e più efficacemente sistemi, servizi, dati e informazioni da qualsiasi genere di rischio o minaccia anche sulla base di semplici dubbi o sospetti, specie se ritiene la misura proporzionata. E probabilmente chiedere ai propri dipendenti non di non usare TikTok, ma di non usarlo sullo stesso dispositivo che usano per lavoro è, in effetti, considerabile una misura proporzionata anche in assenza di prove certe di chissà quale catastrofico scenario di spionaggio internazionale, in considerazione dell’estrema delicatezza delle informazioni che possono girare sugli smartphone del personale della Commissione europea.

Insomma, anche il semplice dubbio non provato della circostanza che qualcuno possa aver fatto una copia della nostra chiave di casa, considerata l’importanza che nessuno ci entri senza il nostro permesso e il costo marginale della sostituzione della serratura, vale probabilmente a giustificare la scelta di chiamare il fabbro.

Ora, naturalmente, la Commissione europea ha certamente chiaro che la sua decisione sarebbe valsa a mettere in allarme un intero continente e a scatenare il dibattito transoceanico che si è scatenato; quindi, verosimilmente, l’ha assunta sulla base di qualcosa di più di un semplice sospetto. E qui vale la pena aggiungere due considerazioni.

La prima. Benché tutti i dati e le informazioni riconducibili a chiunque di noi siano egualmente preziosi, è fuor di dubbio che c’è una differenza tra il rischio che un governo straniero acceda ai dati del personale di un altro governo e quello che acceda ai dati di un qualsiasi privato cittadino che usa lo smartphone solo nella sua sfera privata. La circostanza quindi che la Commissione Ue abbia valutato imprudente consentire ai propri dipendenti l’uso di TikTok sugli smartphone usati per ragioni d’ufficio non significa che debba considerare egualmente imprudente l’uso dell’app cinese da parte dei cittadini europei. A tacer d’altro, infatti, è più probabile – anche qualora ci trovassimo effettivamente davanti a una nuova spy story internazionale – che il governo di Pechino abbia interesse ad accedere ai dati del governo di Bruxelles che a quelli di un qualsiasi privato cittadino europeo.

La seconda è che tuttavia, nonostante quanto precede, visto che ormai – volontariamente o meno – un allarme è stato lanciato, è necessario dissolvere l’incertezza che si è creata quanto più rapidamente possibile: c’è ed è effettivamente elevato il rischio legato alla presenza di TikTok sui nostri smartphone? C’è davvero il rischio che nostri dati e informazioni personali finiscano dove non dovrebbero? Non è una condizione di incertezza nella quale le decine di milioni di utenti europei di TikTok possano essere lasciate a lungo.

Se, tuttavia, le preoccupazioni della Commissione europea hanno a che vedere con il trattamento dei dati personali, allora varrebbe la pena che la questione fosse affrontata e risolta dalle Autorità di protezione dei dati personali e, in particolare, dall’autorità irlandese che è l’autorità del Paese presso il quale TikTok ha il suo stabilimento principale in Europa e, dunque, quella alla quale la disciplina europea affida, in prima battuta, il compito di guidare ogni istruttoria sulla società cinese. E a Dublino della questione si stanno già occupando.

Non resta quindi che attendere le conclusioni, senza peraltro escludere che la stessa Commissione europea, nel corso dei propri approfondimenti sulla questione, possa fornire ulteriori chiarimenti, estendere la portata della propria decisione o – al contrario – ridimensionarla o revocarla.

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