La serie proposta da Netflix sulla figura di Lidia Poët ha fatto molto arrabbiare i Valdesi – che hanno in effetti ragioni da vendere. Annunciato come tributo alla prima donna che ha lottato per vedersi riconoscere il diritto di essere avvocata, cancellata con una sentenza dall’Albo, umiliata e marginalizzata dalla professione, la serie si è presa così tante licenze artistiche da distorcere il senso di una battaglia femminista. Fino al punto di disperdere il senso di questa donna coraggiosa, montanara, intellettuale e, appunto, valdese: della sua comunità di appartenenza non si fa cenno.
Il settimanale delle comunità evangeliche, battiste metodiste e valdesi, Riforma, lamenta in un pezzo firmato da Peter Ciaccio, con sobrietà e fermezza, che al personaggio di Lidia Poët sia stata “strappata l’anima”: è una immagine molto forte e assai efficace, diremmo commovente. Anche chi non conosce la storia di Lidia, vedendo la fiction, avverte l’operazione commerciale che tralascia la realtà per scivolare sul piano della pura finzione televisiva: si capisce fin troppo bene dal linguaggio ipermoderno messo in bocca ai personaggi per portarli rapidamente nei giorni nostri, cosa diversa dall’uso delle musiche dell’oggi, spesso usate nel cinema e anche in Lidia Poët con discreto successo.
Dunque, direte, che c’è di male se tutto questo serve a rappresentare la battaglia della prima avvocata italiana? Di male c’è che Lidia Poët proviene da un tempo durissimo e la sua sofferenza e la sua elaborazione intellettuale di avanguardia nell’Italia albertina lasciano il posto alla celebrazione di un personaggio di fantasia che non rende la verità di una vita, piuttosto compiace un pubblico affamato di modelli televisivi.
Sfidare un mondo maschile deve essere stato un immenso impegno, immaginiamo anche dolorosissimo, come lo è stato per tutte le donne che hanno rivendicato i propri diritti, forse solo le freddi valli alle quali l’avvocata torinese apparteneva hanno potuto darle la giusta dose di determinazione: ma nella serie tutto questo non c’è, tutto sembra frutto di un suo istinto, come suggerisce l’articolo di Ciaccio, quasi ridimensionando l’intelligenza di questa donna.
Si può giocare con il passato ricomponendo i suoi pezzi per riproporli al pubblico di oggi ma non al punto di umiliare il valore di una donna che ha saputo tenere la testa alta di fronte ad una schiera di maschi inviperiti: perché questa non è fiction ma manipolazione.