Il drone su Milano by night sembra accarezzare la metropoli lombarda: scintillante, antica e contemporanea, mai banale. Ma il luogo ove si va a posare è tutt’altro che fashion o cool. Si tratta, infatti, di una festa di pensionamento al primo piano di uno stabile non lontano dalla stazione Centrale, in cui si contaminano accenti e mise, la musica pop, una mescolanza di famiglie e generazioni tutte concentrate a festeggiare Franco Amore, poliziotto con 35 anni di onorato servizio che finalmente potrà riposarsi. Forse. “Ho amato il personaggio di Amore, tra i più belli che ho interpretato, un uomo qualunque, un poliziotto a fine carriera che ha sempre fatto il suo dovere con onestà cristallina, l’antitesi del super-cop”. Così Pierfrancesco Favino, il più straordinario attore italiano della sua generazione, “divo” tricolore all’estero, ma professionista sempre serio, umile ed empatico in ogni sua apparizione pubblica, racconta del poliziotto protagonista de L’ultima notte di Amore, il terzo lungometraggio scritto e diretto da Andrea di Stefano – regista e già attore formatosi negli States che ha diretto star come Benicio Del Toro in Escobar e Clive Owen in The Informer – presentato ieri sera alla 73ma Berlinale nella sezione Berlinale Special Gala.
Un ruolo “all’americana” si potrebbe dire per un film di genere che, contaminando il poliziesco al noir/gangster/action movie in tono certamente drammatico, ha il sapore del blockbuster a Stelle-e-strisce più che del classico film italiano. Per questo, probabilmente, Favino evoca un tema spinoso mai abbastanza affrontato a dovere: “L’Italia è l’unico paese al mondo in cui i ruoli di italiani vengono recitati da attori stranieri. Sembra che si abbia molta paura di fare il contrario. Non vedo perché quando si viene a girare con il 40% di tax credit in Italia i ruoli di italiani vengano fatti da americani e non da nostri attori. In momento in cui si parla tanto di inclusività noi siamo l’eccezione. A me non mi farebbero mai fare Kennedy non vedo perché c’è chi viene qui a fare gli italiani”. Una dichiarazione forse che si collega alla sua denuncia del mancato rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro del settore cine-audivisivo e dunque sul rapporto tra i lavoratori e i produttori.
Opera ambiziosa, girata “come si faceva una volta” – dice di Stefano, ovvero nella porosità della pellicola in 35mm, costruita su un montaggio sofisticato (da Giogiò Franchini) che assorbe buona parte della sua complessità, L’ultima notte di Amore osserva Milano come fosse Chicago, ne penetra gli anfratti nascosti celebrandone anche le nuove altezze architettoniche, e articolandosi nel tempo filmico di 24h, accompagna la discesa all’inferno di un uomo per bene, la cui unica colpa è l’incapacità di vedere il “male” camuffato da bene, specie se incorporato da impenetrabili cinesi o peggio ancora da persone vicine alla famiglia. Un’epifania lo risveglia quando però è troppo tardi. Forse. Al fianco di “Picchio” (così Favino è chiamato nell’ambiente del cinema a Roma) i bravi Antonio Gerardi, Francesco Di Leva e a un’intensa Linda Caridi nel ruolo della sua giovane moglie Viviana. Il film è prodotto da Indiana Production, Memo Films, Adler Entertainment e Vision Distribution che lo distribuirà a partire dal 9 marzo.