Non è facile capire cosa succede nella guerra in Ucraina. I tentacoli della disinformazione sono talmente vasti e radicati che costruire un’immagine veritiera è quasi impossibile. Per farlo proviamo ad usare alcuni numeri: iniziamo dagli armamenti.
Da un sito considerato attendibile e che tiene in considerazione soltanto gli armamenti visualmente verificabili, si evince che la Russia ha perso 9368 armi pesanti, di cui 5942 sono state distrutte, 268 danneggiate, 376 abbandonate e 2782 catturate. Si tratterebbe secondo le statistiche di quasi un terzo delle armi pesanti che la Russia aveva all’inizio della guerra. Queste oggi sono a disposizione dell’esercito ucraino. Mettendo da parte quelle distrutte o danneggiate, ne rimane una quantità considerevole da utilizzare, più che sufficiente per le dimensioni dell’esercito ucraino che conta 200mila soldati – contro gli 850mila a disposizione della Russia.
Allora perché il paese continua a domandare armi? E’ chiaro che la richiesta si riferisce ad armi superiori, ma è anche vero che queste richiedono un esercito addestrato ad usarle. Per ora Europa e Stati Uniti hanno mandato in Ucraina principalmente gli armamenti di cui si vogliono sbarazzare, per ricostituirli con modelli più moderni. E dunque la modernizzazione della macchina bellica occidentale sta avvenendo grazie alla guerra in Ucraina. Senza questo conflitto sarebbe stato impossibile far approvare un progetto di riarmo di queste dimensioni. Una cuccagna, insomma, per l’industria bellica che languiva da diversi anni.
Passiamo al costo della guerra e dell’eventuale ricostruzione, altro punto cruciale di cui non si parla mai abbastanza. Da un altro sito risulta che dal 24 gennaio 2022 al 15 gennaio 2023 l’esborso degli Stati Uniti, che include azioni umanitarie ed aiuti militari, è stato pari a 73,2 miliardi di euro e le istituzioni dell’Unione Europea, ossia Commissione e Consiglio d’Europa, hanno speso 35 miliardi di euro. Il Regno Unito 8,3 miliardi di euro, Germania 6,16, Canada 4,02, Polonia 3,5, Francia 1,68 e Italia 1,02. Ad ottobre del 2022 il Fondo monetario ha stanziato una linea di credito di 1,3 miliardi di dollari.
Impossibile trovare statistiche attendibili sul costo di un anno di guerra in Ucraina per l’Ucraina, ma si può fare un’estrapolazione. Un anno di guerra ha prodotto una contrazione del Pil del 35 per cento. A questa vanno aggiunte le cifre di cui sopra, relative agli aiuti di vario tipo e alle linee di credito. E quindi se la guerra procede per un altro anno la spesa sarà uguale o superiore, certamente non inferiore. Più il Pil si contrae, più costerà la ricostruzione, più i paesi occidentali spendono in aiuti, più alto sarà il dedito pubblico da coprire. La domanda da porsi è: da dove arriveranno tutti questi soldi? Certo non dalle nostre tasse.
L’idea principale che circola come il coronavirus nell’informazione è dalla Russia, in particolare dai soldi russi bloccati in Occidente – che poi è quello che Ursula Von der Leyen ha affermato la scorsa settimana. Ma la auto-nominata generalessa di Bruxelles ha fatto i conti senza l’oste. Vediamo perché.
Secondo l’Economist ci sono 300 miliardi di dollari di riserve russe in Europa e Stati Uniti e fino a mille miliardi di dollari di cittadini privati russi. Le prime sono di proprietà dello stato russo e non sono state congelate ma immobilizzate, perché è stato proibito alle banche che le detengono di fare affari con la Russia. I mille miliardi includono investimenti diretti molto difficili da localizzare. In realtà, i beni degli oligarchi ammontano a 400 miliardi di dollari di cui solo 50 sono stati congelati.
Il concetto di beni e soldi congelati, poi, è ben diverso da quello di confisca. Un bene congelato rimane di proprietà del proprietario, quello confiscato cambia proprietario. Per confiscare beni privati bisogna aver commesso un reato che comporti la confisca – reati di mafia ad esempio – e dunque non sarà facile applicare questo principio alla semplice cittadinanza russa.
Molto, molto più complessa è la situazione delle riserve, che prima di essere confiscate devono essere congelate, cosa che non è ancora avvenuta. Le riserve sono poi protette dall’immunità della nazione sovrana contro accuse penali che potrebbero giustificare la confisca. Unica eccezione lo stato di guerra: infatti durante quella in Iraq Bush congelò e confiscò i soldi di Saddam Hussein. Lo poté fare perché gli Stati Uniti erano in guerra con l’Iraq, ma oggi Washington non è in guerra con Mosca. A livello diplomatico, confiscare le riserve russe toglierebbe all’Occidente uno strumento di pressione potente su Putin, che per riaverle potrebbe essere disposto a trattative; una volta rimossa quella leva l’Occidente avrebbe ben poco su cui negoziare. Ma il vero problema sarebbe la distruzione dello status quo della legislazione internazionale. Se l’Occidente si appropria delle riserve russe nelle proprie banche, allora altre nazioni potrebbero fare lo stesso con beni e depositi occidentali nelle loro. Si creerebbe così un pericoloso precedente. In secondo luogo, un’azione di questo tipo porterebbe al ritiro immediato delle riserve di altri paesi dalle istituzioni finanziarie occidentali.
Naturalmente sia Biden che Von der Leyen queste cose le sanno, ma si guardano bene dal pubblicizzarle. Il primo sta usando la guerra come trampolino di lancio per la rielezione, decisione presa dal partito per bloccare l’ascesa di Alexandra Ocasio-Cortez; la seconda invece gioca alla guerra con le vite e i soldi altrui.