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Puzzle con l’Uomo Vitruviano, Ravensburger condannata con una sentenza storica: ecco perché

I giudici hanno condannato la multinazionale al pagamento di una multa di 1.500 euro a favore del Ministero della Cultura per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione dell'ordinanza

di F. Q.

È una sentenza dalla portata storica quella che ha condannato l’azienda tedesca Ravensburger per l’utilizzo della famosa immagine dell‘Uomo Vitruviano di Leonardo Da Vinci su uno dei suoi celebri puzzle. A stabilirlo è stata un’ordinanza cautelare emessa dal Tribunale di Venezia il 17 novembre scorso – ma resa nota solo ora da La Nuova Venezia e Repubblica – in seguito a un ricorso delle Gallerie dell’Accademia di Venezia (dove è custodita l’opera) avanzato nel 2020. Secondo quanto deciso dai giudici, l’azienda tedesca dei puzzle Ravensburger non può utilizzare a fini commerciali l’immagine dell’Uomo Vitruviano nemmeno sui propri siti internet, altri strumenti telematici e social. Non solo: deve pagare anche una penale di 1.500 euro a favore del ministero della Cultura, per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione dell’ordinanza.

Sebbene un caso analogo era avvenuto a Firenze riguardo il David di Michelangelo è la prima volta che viene condannata una società straniera. Il ricorso presentato dalle Gallerie dell’Accademia riguarda la violazione del Regolamento per la produzione dei beni culturali e sull’uso dell’immagine per prodotti di merchandising senza avere la necessaria concessione. Commercializzato nel 2014, per i giudici il danno all’immagine causato dal puzzle consiste: “Per il solo fatto di essere stato oggetto di una riproduzione indiscriminata”, cioè senza avere il permesso e senza aver avuto una valutazione in rapporto al suo valore culturale. Il direttore delle Gallerie, Giulio Maneri Elia, ha commentato quando accaduto così: “È una sentenza molto importante perché è la prima volta che da un Tribunale viene stabilito che i diritti d’uso di un’opera d’arte sono dovuti anche dall’estero. Come dirigenti e detentori delle immagini, e stando al Codice dei Beni Culturali siamo tenuti a far pagare i diritti, si tratta di un introito per le casse dl Museo e dello Stato, e quindi importante”.

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