Il governo Meloni nella gestione disastrosa dei bonus edilizi ha mostrato la sua franca attitudine post-democratica. Possiamo usare questa espressione in maniera specifica per indicare un nuovo stile di governo. Prima si decide in maniera fulminea, e poi a posteriori si apre la cauta possibilità di una modifica delle decisioni già operative.
Di norma, soprattutto quando il provvedimento è di grande rilievo e impatta sulle sorti di decine di migliaia di famiglie ed imprese, il governo procede in maniera differente. Prima si discute, per evitare possibili errori e per raccogliere il contributo almeno della propria maggioranza, e poi si decide. L’autoritarismo meloniano è qualitativamente diverso: in poche ore si è deciso di chiudere i rubinetti fiscali e poi qualcuno ricomporrà i cocci. Naturalmente un’eventuale modifica sarà possibile solo grazie all’amorevole paternalismo del governo. Questa democrazia autoritaria e del giorno dopo ha bisogno però, per essere esercitata, di evocare una situazione di disastro imminente; e allora cosa c’è di meglio se non creare in po’ di panico da finanza pubblica? Il cosiddetto buco da 105 miliardi inventato e sbandierato dal ministro Giorgetti è servito a questo scopo. Questo lo stile, veniamo alla sostanza.
La post-democrazia del governo Meloni ha operato una specie di miracolo contabile. I 38 miliardi di buco del novembre 2022, poi diventati 105 a febbraio, ora si sono ridotti a 15. La discussione con le banche e con le associazioni di categorie ha ridotto enormemente la presunta falla nei conti pubblici. Evidentemente i numeri del ministro erano fasulli e sono stati subito smascherati. Nel tavolo tecnico non si discute più dei 105 miliardi da bonus, ma solamente dei cosiddetti debiti incagliati. Il problema principale è diventato il destino di questa piccola fetta di crediti, 15 miliardi, che nessuno vuole o non può comprare. Una riduzione di quasi il 90 % nel giro di tre giorni. Un miracolo all’italiana.
La retorica dei debiti incagliati è un classico della finanza. Un credito incagliato, nel linguaggio bancario, è una somma che non si può o non è facile riscuotere. La cosa curiosa è che nel mondo capovolto della finanza si ragiona dei crediti incagliati in maniera del tutto impersonale, come se l’arenamento del debito in qualche secca di bilancio fosse un fatto naturale, ad esempio un giorno di pioggia e di sole. Naturalmente non è proprio così. L’incagliamento dei crediti può derivare da due circostanze: o l’impresa ha fatto troppi debiti rispetto ai ricavi, e dunque non è in grado ripagarli, oppure la banca ha concesso troppi prestiti in maniera imprudente ed ora fatica ad incassarli. I crediti incagliati sono un caso tipico di finanza tossica, cioè di una finanza sconsiderata guidata dall’avidità o dagli errori della banca o dell’impresa.
Che cosa può essere successo nel caso dei bonus edilizi? Si è verificato quello che gli economisti chiamano un caso di azzardo morale. Ci sono molte situazioni in cui ci comportiamo in maniera avventata semplicemente perché pagano gli altri. Il mondo della finanza è particolarmente sensibile a questo virus. Lo si è visto nella crisi del 2008 quanto è prevalsa la logica dei salvataggi bancari in base la principio too big too fail. Le banche colpevoli del disastro andavano salvate, compresi i banchieri purtroppo, perché il loro fallimento avrebbe causato un danno rilevante a troppi risparmiatori.
Nel suo piccolo, anche i 15 miliardi di crediti incagliati si inseriscono in uno scenario simile, uno shock da finanza tossica. Lusingate dalla perfetta copertura statale molte imprese, banche e finanziarie hanno agito per massimizzare i loro guadagni infischiandosene dei rischi, a spese dei contribuenti. Tanto poi, la convinzione di fondo era questa, sarebbe intervenuto lo Stato a risolvere eventuali problemi di insolvenza o di carenza di liquidità. Il problema dei troppi crediti facili era ben noto da molti mesi eppure tutto è continuato tranquillamente confidando in un intervento pubblico, che puntualmente si sta verificando. Di andare ad accertare le responsabilità di questo comportamento doloso, nessuno ne parla. Su questo il ministro mantiene un colpevole silenzio. I crediti si sono incagliati, pare, da soli.
Come uscire da questo pasticcio creato ad arte dal ministro? Si è offerta a questo scopo anche Confindustria, dimostrando una grande disponibilità istituzionale. D’altra parte, i crediti sono a forte sconto. Oggi un credito edilizio che lo Stato paga a 110 euro viene trattato a 90, 92 euro sul mercato finanziario con un grande profitto nel brevissimo periodo. Non sorprende allora che dopo aver incassato i generosi profitti da inflazione bellica, le imprese italiane vogliano reinvestire la liquidità in eccesso nel lucroso mercato dei bonus incagliati. Dagli ingiusti profitti di guerra ai pingui profitti da finanza pubblica, sarebbe un vero capolavoro. Una volta era lo Stato a salvare le imprese, ora accade il contrario. Tutto questo sotto lo sguardo compiaciuto di una Premier che aveva promesso di tassare in maniera esemplare gli extra-profitti di imprese energetiche, banche, ed assicurazioni che la guerra ha fatto volare. Ancora però non si è visto nulla e nemmeno si vedrà.
In definitiva, per eliminare un po’ di finanza tossica legata ai bonus edilizi non era necessario sollevare tutto questo clamore. La montagna ha partorito il topolino. I 105 miliardi sono diventati 15 in un gioco di specchi contabili, in attesa del prossimo verdetto di Eurostat. Questo sì, risolutivo. Ma la destra nostrana è fatta così, ha bisogno di occupare la scena evocando cupi scenari apocalittici per poi esaltare l’arrivo di un eroe o di un’eroina (non proprio) immacolati. Oggi questo spettacolo tristemente indecente e dannoso per l’economia è toccato alla finanza pubblica, domani si vedrà.