A una settimana dall’inizio del nuovo round negoziale presso l’Ocse sulle restrizioni da applicare ai sussidi climalteranti delle agenzie di credito all’esportazione (ECAs), 176 organizzazioni internazionali, tra cui ReCommon, Greenpeace, Friends of the Earth e Oil Change International chiedono ufficialmente ai negoziatori di porre fine ai finanziamenti al settore del petrolio e del gas da parte delle ECAs. Una petizione che riguarda anche l’Italia che, secondo le ong, potrebbe “far pendere ancora una volta l’ago della bilancia a favore del business fossile”. L’agenzia di credito all’esportazione italiana è Sace, controllata dal ministero dell’Economia e delle Finanze, che si colloca al sesto posto globale tra i finanziatori pubblici dell’industria fossile e, fra il 2016 e il 2021, ha emesso garanzie (assicurazioni sui progetti o garanzie sui prestiti per la realizzazione dei progetti) per il settore oil&gas pari a 13,7 miliardi di euro. Proprio Sace è a capo del gruppo di lavoro sulle ECAs presso l’Ocse. “Siamo costretti a sopportare che Sace presieda il gruppo di lavoro e, di conseguenza, il prossimo round negoziale sulle restrizioni a petrolio e gas” commenta Simone Ogno di ReCommon.

Il ruolo dell’Italia, che ha disatteso le promesse di Glasgow – Eppure l’Italia ha aderito, sebbene all’ultimo minuto, all’impegno congiunto firmato alla Conferenza sul clima di Glasgow del 2021, da 34 paesi e cinque istituzioni finanziarie pubbliche, per porre fine a nuovi finanziamenti pubblici internazionali ai combustibili fossili entro il 31 dicembre 2022. L’Italia, però, insieme a Stati Uniti e Germania, non è tra i paesi che hanno rispettato l’impegno. “Sette tra i principali paesi sostenitori dell’industria fossile attraverso soldi pubblici, nonché membri dell’Ocse – ricorda ReCommon – hanno adottato politiche che rispettano ampiamente la promessa fatta a Glasgow”. Sono Regno Unito, Francia, Canada, Finlandia, Svezia, Danimarca e Nuova Zelanda. Altri, come Paesi Bassi, Spagna e Belgio, hanno implementato la dichiarazione con politiche deboli, che lasciano ampi margini di supporto finanziario all’oil&gas. Questi impegni riguardano soprattutto gli assicuratori pubblici, i più grandi finanziatori dell’industria fossile con una media di 28 miliardi di dollari all’anno. Ma per quanto la Dichiarazione di Glasgow sia stato un impegno storico, “si tratta pur sempre di un impegno volontario e su base nazionale, politiche di implementazione comprese: è per questa ragione – spiega l’organizzazione – che la partita decisiva si gioca all’Ocse, all’interno della quale c’è uno specifico gruppo di lavoro sulle ECAs”.

Come procede il negoziato – A ottobre 2021, l’Ocse aveva adottato una serie di misure vincolanti per interrompere il supporto degli assicuratori pubblici al settore del carbone. “A novembre 2022 – spiega ReCommon – l’Italia aveva già provato a indebolire una posizione comune sulle restrizioni al comparto fossile presso l’Export Finance for Future, coalizione internazionale che si pone l’obiettivo di allineare i finanziamenti degli assicuratori pubblici all’Accordo di Parigi”. In quello stesso mese, Sace è stata nominata a capo del gruppo di lavoro sulle ECAs presso l’Ocse: “Una scelta che getta ombre sul buon esito dell’incontro. L’Italia è già in ritardo di due mesi con l’attuazione della Dichiarazione di Glasgow – spiega Simone Ogno – e, proprio attraverso Sace, il Paese è divenuto il primo finanziatore pubblico europeo dell’industria fossile, consentendo lo sviluppo di opere strategiche per la Federazione Russa, per non parlare dei progetti di gas naturale liquefatto nel martoriato Mozambico”. Il nuovo round di negoziati sulle ECAs si terrà a Parigi tra il 6 e il 9 marzo 2023. “Affinché l’accordo in seno all’Ocse possa essere approvato, è fondamentale che Stati Uniti e Unione europea siano allineati sull’obiettivo, ma al momento nessuno dei due ha intenzione di proibire in maniera vincolante il supporto delle ECAs anche al settore del petrolio e del gas” spiega ReCommon.

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