Sono le paladine del Made in Italy. Resilienza è il loro mantra. Resistere, resistere ai grandi gruppi che le vorrebbero inglobare, farne roba loro. “L’ identità del mio brand non è in vendita. Sarebbe come vendermi l’anima”, aggiunge con fierezza Luisa Beccaria. La vie en rose: la sua è una bellezza che cura l’anima. E lo fa da quel lontano 1991 quando venne invitata per la prima volta alle passerelle di Roma e, subito dopo, al haute couture a Parigi. Le si aprirono subito le porta del prêt-à-porter a Milano, fu subito una rivelazione e un giovane e talentuoso Giovanni Gastel fotografo’ i suoi tableaux vivants new-romantic, mescolando sogno e lusso. Adorata dalla celebrities Nicole Kidman, Sarah Jessica Parker, Angelina Jolie, Kate Winslet, Halle Berry, Madonna, Uma Thurman, Helena Bonham Carter, Lady Gabriella Windsor, solo per citarne alcuni. Madonna l’estate scorsa è stata ospite a Casteluccio, un borgo settecentesco incastonato nella valle di Noto, in Sicilia. I colori, i profumi le hanno ispirato la collezione di Home Life Style, dalle tovaglie en fleur ai bicchieri sfaccettati di cristallo ton sur ton, finisce sul New York Times, insieme alla boutique/atelier che ha aperto due anni fa nella piazzetta di Capri.
Nel 2006 Lucilla, la primogenita di Luisa, inizia a collaborare in azienda. Il “duo madre e figlia”, è una forza della natura mescolano, arte, artigianato, selezionano materie prime e tessuti di pregiata lavorazione, in chiave ecosostenibile. Che per loro significa slow fashion, una moda lenta, fatta di forme e stili che si adattano al lusso moderno/ poetico/ eccentricoo ma rimangono senza tempo. Il linguaggio del brand è evocativo e talvolta p. Il suo obiettivo è comunicare la natura fragile ma forte, passionale di una donna sicura di sé e romantica, capace di proiettare il suo spirito su quanto la circonda.Una tempesta di fiori ha intitolato la collezione che ha appena sfilato e la palette cromatica riprende i colori della Tempesta di Giorgione. Il panna e l’avorio lasciano spazio a verde muschio, blu-verdi, turchesi, sfumature di rosa accese di rosso e bordeaux con texture materiche come il velluto a coste (anche stampato), lane cotte, flanelle che si alternano all’impalpabile chiffon e alla seta dévoré. Per loro diventa cult anche il passamontagna mentre trasferiscono a stampa a petali e boccioli sul velluto nero in forma di ricamo minuto.
Anche Chiara Boni è partita da lontano. A Firenze negli anni ’70 apri’ la sua prima boutique “You Tarzan me Jane”. E da subito ha infranto le regole, con sfilate e manifestazioni d’avanguardia, è stata la nostra Wivienne Westwwod, un po’ punk, un po’ leopardata. E’ stata la prima a sperimentare la lycra, per abiti fascianti, modellanti. La brevetta subito. Nasce cosi’ la Petite Robe, non ha bisogno di essere passata e ripassata con il ferro da stiro, si infila in valigia e via. E’ una rivoluzione, conquista il mercato americano dell’upper class e le celebrities e, l’ultima sfilata durante la fashion week di New York, la settimana scorsa ha soltanto consolidato il suo successo. Cinquanta sfumature di CB: la sua lycra incontra pelle e cuoio, cinghie e bustier, le sue modelle serrate in tubini con spacchi e scollature sono sexy supereroine. Dal black and white sempre seducente, Chiara scivola a un rosa intenso e paillettato. “Mi piace questa idea di forza e luce che deve sprigionare una donna”, chiosa la stilista. Ancora un flash back nel suo infinito curriculum: ha sfilato a Roma per l’Alta Moda, prima degli altri è volata in Cina dove ha aperto 10 boutique, ha fatto scuola come assessore per l’Immagine e Comunicazione della Regione Toscana. Si ricompra nel 2001 il suo marchio di cui aveva ceduto un po’ di quote al Gruppo Finanziario Tessile. Ha festeggiato il suo giubileo: 50 anni di brand. “Sembra ieri”, sospira Chiara Boni. Ad maiora semper.