Politica

Era il 2013 quando con Elly Schlein occupammo il Pd. Ora le dico: non arretrare di un centimetro

Era il 2013, un’era fa. Prodi era appena stato impallinato da franchi tiratori e definitivamente bruciato per la presidenza della Repubblica. Un amico, allora giovane compagno di partito (chissà adesso che fa della sua vita, qualcuno una volta mi disse che aveva avuto un figlio e che non voleva più saperne della politica) mi chiamò e mi disse dobbiamo inventarci qualcosa: occupiamo la sede del Pd!”. Di lì a poco un susseguirsi di telefonate, ed eravamo già pronti con il sacco a pelo ad accamparci nella grande sala riunioni di Via Carraia, la sede del Pd della mia città.

Bastò poco perché un lancio Ansa ci gettasse nel dibattito nazionale, facendoci scoprire che non eravamo soli, in contemporanea Elly Schlein aveva guidato l’occupazione della sede di Bologna, di lì a poco uscì la notizia dei sacchi a pelo nelle sedi di Piemonte, Puglia, Sardegna e poi via in tutta Italia.

Da quell’esperienza spontanea di orgoglio militante ovviamente non nacque nulla di particolare, dopo i primi mesi di mobilitazione, i protagonisti di quell’esperienza, tutti poco più che ventenni, furono prontamente parcheggiati nella grande sala d’attesa della politica, ad aspettare il proprio turno in un impotente silenzio.

Eppure dalle esperienze delle grandi assemblee di Prato, Bologna e Roma qualcosa si era sedimentato in noi, per alcuni sotto forma di frustrazione, per altri di speranza.

Elly era, già allora, la più consapevole ed anche quella più pronta ad investire su se stessa come immagine di un cambiamento, in quel momento storico apparentemente impossibile, ma in proiezione inevitabile.

La consacrazione di Renzi e del renzismo congelò però per qualche anno quel cambiamento, sostituendo, nella narrazione della sinistra, la modernità reale, e cioè l’inarrestabile avvento di una nuova politica dei diritti civili e sociali, con una modernità falsa, che altro non era che un ritorno blairista alla terza via decisamente fuori tempo.

Non solo il Pd, ma una parte importante del Paese, in quegli anni credette sinceramente che avvicinarsi alla destra sulle politiche economiche, nella cornice di una lenta ma progressiva affermazione dei diritti civili, fosse l’unica via per la costruzione di una sinistra contemporanea. In questa visione artefatta di modernità, persone come Elly non potevano che venire espulse dal sistema, rappresentazione di un idealismo radicale e pertanto fuori moda.

Eppure gli anni successivi hanno dimostrato quanto la sinistra non possa invece vivere senza radicalismo e idealità e che il semplice amministrare bene (a patto che questa storia dei bravi amministratori del Pd sia ancora vera) non è sufficiente. Semplicemente si è palesata l’ovvietà che se il tema è governare per governare, non serve la sinistra, è più che sufficiente una tecnocrazia mediamente illuminata.

La sinistra serve se l’obiettivo è dare al governo una chiara missione ideale, semplice ma rivoluzionaria, e cioè quella di ridurre le disuguaglianze tra le persone. Non è sufficiente amministratore bene una sanità sempre meno universalista, non è sufficiente parlare di lavoro se esistono centinaia di forme di lavoro nuove non normate e quindi senza tutela, non è sufficiente definirsi ambientalisti o femministi senza essere radicali nelle politiche per lo sviluppo sostenibile o la parità di genere.

Eccola la sinistra moderna, quella che risponde in senso chiaro ed egualitario ai problemi di oggi, ed ecco perché Elly ha vinto: l’ha fatto semplicemente strappando di mano l’agenda della sinistra ai nostalgici degli anni 90 e riallineandola al nostro tempo.

Adesso però comincia per la nuova segretaria la parte più difficile, essere coerente e all’altezza delle speranze generate.

Purtroppo la macchina delle sinistra è esigente e feroce, si infiamma facilmente di passione ma divora spesso i propri stessi figli. Guidare il Partito democratico senza farsi fagocitare dall’interno sarà senz’altro impresa ancora più difficile della vittoria del congresso.

Darei quindi, anche se magari non richiesti, giusto due semplici consigli di sopravvivenza: cara Elly, costruisci un gruppo dirigente che ti assomigli e che non assomigli a quello che c’era prima di te e non arretrare di un centimetro dalla radicalità delle promesse di questa campagna.

E allora sì che ci sarà da divertirsi.