Le autorità iraniane hanno confermato che stanno indagando sulle notizie secondo cui delle studentesse in diverse città del Paese sono state avvelenate. Dalla fine di novembre, i media locali hanno riportato casi di avvelenamento respiratorio di centinaia di bambine di circa 10 anni nelle scuole di Qom, una delle principali città religiose dell’Iran. L’obiettivo era quello di chiudere le scuole femminili.
Un medico specializzato nel trattamento delle vittime di avvelenamento ha affermato di ritenere che lo scopo fosse quello di “spaventare i manifestanti” e una “vendetta” per il ruolo svolto dalle giovani donne nelle recenti proteste contro l’hijab obbligatorio. Il viceministro dell’istruzione iraniano, Younes Panahi, ha detto ai giornalisti che “è stato rivelato che i composti chimici usati per avvelenare le studentesse non sono prodotti chimici da guerra… le studentesse avvelenate non hanno bisogno di trattamenti aggressivi e una grande percentuale degli agenti chimici usati sono curabili”. Parlando con il Guardian in condizione di anonimato, il medico specializzato ha affermato che in base “ai dati disponibili, la causa più probabile di questo avvelenamento potrebbe essere un debole agente organofosfato“. Probabilmente, ha aggiunto, “vogliono vendicarsi delle studentesse che sono le pioniere delle recenti proteste”. Peraltro, ha aggiunto, “mai prima d’ora ho curato qualcuno che è stato avvelenato con agenti organofosfati. Gli unici casi che ho trattato sono stati i lavoratori esposti a questi agenti nei pesticidi agricoli”.
Secondo l’agenzia Irna, il 14 febbraio scorso i genitori delle alunne si sono riuniti davanti al governatorato della città per “chiedere spiegazioni”, mentre domenica il viceministro della Salute Youness Panahi ha rivelato che “è emerso che alcuni individui volevano che tutte le scuole, soprattutto quelle femminili, fossero chiuse”. L’avvelenamento – ha poi spiegato – è stato causato da “composti chimici disponibili non per uso militare, e non è né contagioso né trasmissibile”. Da parte loro i ministeri dell’intelligence e dell’istruzione si sono limitati a dire che stanno collaborando per trovare la fonte dell’avvelenamento. Oltre a Qom, anche la città di Borujerd, nel centro del Paese, è stata teatro di episodi simili. Nelle ultime ore, riporta Bbc Persian, oltre 90 studentesse delle scuole superiori si sono recate in ospedale con sintomi di avvelenamento. Non è la prima volta che in Iran si parla di casi simili. Alla fine di ottobre fece scalpore il caso di una studentessa universitaria di 21 anni, Negin Abdolmaleki, morta per avere bevuto alcol avvelenato. Sconcertanti anche le rivelazioni sugli attivisti drogati o avvelenati in carcere, puniti per avere partecipato alle proteste.
Intanto nelle ultime ore è stata rilasciata una cittadina spagnola, Ana Baneira, 24 anni, detenuta dallo scorso novembre. Le circostanze dell’arresto non sono mai state precisate, ma il periodo della detenzione coincide con il picco delle proteste in Iran, seguite alla morte a settembre di Mahsa Amini.