Almeno 6000 bambini ucraini portati in campi di rieducazione in Russia. È quanto denuncia il report della Yale School of Public Health, a distanza di un anno dall’inizio della guerra. Le strutture individuate dalla ricerca sono 43, di cui 7 nella occupata Crimea. “Molti bambini vengono riportati alle famiglie di origine, ma di molti altri non si sa se siano stati o meno riconsegnati”, si legge nel rapporto. Un sistema complesso, in cui i genitori ucraini forniscono formalmente il consenso per mandare i figli in queste strutture. Precisa il report: “I dati suggeriscono che molti dei consensi vengono dati sotto costrizione e sono quindi non validi”.

Educazione russa – I bambini che si trovano nei campi hanno un’età compresa tra i 4 mesi e i 17 anni. Alcuni di loro sono orfani, ma la maggior parte provengono da famiglie con scarse possibilità economiche. I genitori si trovano a dover acconsentire al trasferimento per garantire loro, spiega il rapporto, “per lo meno cibo a sufficienza”. I ricercatori della Yale School hanno anche raccolto denunce di sequestro di minori: “Alcuni genitori si sono rifiutati di mandare i figli in questi campi, ma la loro volontà è stata ignorata e i bambini sono stati comunque trasferiti”. Spesso i minori arrivano da città ucraine occupate dall’esercito di Mosca e il trasferimento viene giustificato per ragioni di sicurezza o di salute. I primi casi risalgono, secondo il report, a febbraio 2022 e i più recenti sono stati individuati nel gennaio 2023. Una volta arrivati nelle strutture, molte delle quali prima del conflitto erano campi estivi, inizia il percorso. “Almeno il 78% dei campi sembra essere impiegato nella rieducazione dei bambini”, spiegano i ricercatori. “I minori sono esposti a rieducazione culturale, patriottica e militare”. Lezioni di storia e addestramento, libri e fucili. Lezioni per diventare patrioti russi. Non sono state però riportate denunce né è stata ritrovata traccia “di maltrattamenti, di abusi sessuali, o di violenza fisica”.

Chi non fa ritorno – Ci sono due campi, stando alle denunce dei parenti, da cui il ritorno è stato sospeso per un periodo di tempo indeterminato: Artek (in Crimea) e Medvezhook. “Venti bambini di questi campi sono stati dati a famiglie russe e iscritti in scuole locali”, si legge nel report. Una situazione che si replica nel 10% delle strutture. Inoltre, nello studio è sottolineata una mancanza di comunicazione tra le famiglie dei bambini e i gestori dei campi “anche quando ci sono ritardi nei ritorni a casa”. È quello che è successo a una madre di una bambina mandata a proprio a Medvezhook: “Una volta che il ritorno della figlia è stato sospeso, è stato detto alla madre che la piccola non sarebbe ritornata in Ucraina”. C’è un altro ostacolo che si frappone tra i bambini e il loro rientro a casa. Solo i genitori possono ritirarli dai campi di rieducazione, ma molte delle famiglie non possono permettersi il viaggio fino in Russia. Inoltre, la legislazione ucraina impedisce agli uomini tra i 18 e i 60 anni di lasciare il Paese. “Né i nonni, né altri parenti cui viene data la rappresentanza legale possono ritirare i bambini dai campi”, spiegano i ricercatori.

Responsabilità politica e diritto internazionale – Secondo il report, a capo di questo sistema c’è Maria Lvova-Belova, la commissaria per i diritti dei bambini in Russia, descritta come “la leader a livello federale” e “una delle figure più coinvolte nelle deportazioni e nelle adozioni russe di ucraini”. Il 30 maggio 2022 Vladimir Putin ha firmato un decreto per rendere più semplice la concessione della cittadinanza russa agli orfani ucraini e ai bambini privi di una precisa tutela genitoriale. Secondo l’Alto commissario Onu per i rifugiati Filippo Grande, però, “dare ai bambini ucraini la nazionalità russa o inserirli in un sistema di adozioni va contro i principi fondamentali di protezione dei minori in scenari di guerra”. I 43 campi di rieducazione presenti in Russia, secondo la Yale School, costituiscono un sistema in aperto contrasto con la risoluzione 1261 del 1999 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che etichetta come grave violazione il sequestro di bambini. Principio ribadito anche dalla convenzione di Ginevra del 1949, che classifica i bambini come soggetti che necessitano di una tutela rafforzata. “Le azioni della Russia a partire dall’invasione del febbraio 2022”, conclude il report, “possono costituire una profonda violazione in materia di adozioni durante i conflitti armati”.

Per una commissione di inchiesta – “Se ci sono sottrazioni di minori, ci troviamo davanti a una gravissima lesione dei diritti dell’infanzia, oltre che del diritto internazionale”, spiega a ilFattoQuotidiano.it Filippo Ungaro, capo della comunicazione di Save the Children. “Per quanto riguarda l’Ucraina, siamo estremamente preoccupati”, chiarisce. Per questa guerra – così come per gli altri conflitti dimenticati, precisa Ungaro – “ci vuole una commissione di inchiesta indipendente capeggiata dalle Nazioni Unite e guidata da esperti dei diritti dell’infanzia, che verifichino eventuali violazioni”. In contesti estremamente complessi, proprio come nei teatri di guerra, la vulnerabilità dei minori aumenta. Di pari passo, dovrebbero crescere anche le garanzie: “La soluzione migliore per un bambino è rimanere con la propria famiglia e la propria comunità”, spiega Ungaro. Invece, dallo scorso 24 febbraio Save the Children riporta 4 bambini feriti o uccisi ogni giorno. E chi sopravvive alle bombe e alle violenze deve fare i conti con la salute mentale: “Nell’ultimo anno i bambini hanno passato nei rifugi in media 900 ore”.

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