L'ex braccio destro di Mori commenta il video risalente al 2013, mandato in onda da Massimo Giletti a Non è l’arena, nel quale, alla presenza dello stesso Mori, sostiene che il covo di Riina è stato videosorvegliato per settimane prima dell’arresto del boss, contraddicendo dunque la versione sempre data dai carabinieri
Dice di essersi confuso Giuseppe De Donno, l’ex colonnello del Ros dei carabinieri che aveva raccontato di osservazioni video del covo di Totò Riina, molto precedenti alla cattura del capomafia il 15 gennaio 1993. “Ho sicuramente fatto confusione tra le attività di osservazione su imprenditori come i Ganci, durate molto tempo, e quelle svolte su via Bernini dove erano coinvolti gli imprenditori Sansone, e durate un paio di giorni”, ha detto l’ex colonnello, braccio destro di Mario Mori. Riferendosi alla villetta di via Bernini, che non venne perquisita subito dopo l’arresto (la mancata perquisizione finì al centro di un processo con imputati Mori e il capitano Ultimo, entrambi assolti), De Donno dice: “In quel comprensorio insistevano una serie di villette, in una delle quali abitava il boss e la sua famiglia e dove ribadisco, a mio giudizio, non credo ci fosse il covo di Salvatore Riina“.
De Donno è il protagonista di un video inedito risalente al 2013, mandato in onda da Massimo Giletti a Non è l’arena, nel quale, alla presenza dello stesso Mori, sostiene che il covo di Riina è stato videosorvegliato per settimane prima dell’arresto del boss, contraddicendo dunque la versione sempre data dai carabinieri, e cioè che la videosorveglianza del cancello dal quale il 15 gennaio 1993 uscì Riina iniziò all’alba del 14 e finì nel tardo pomeriggio del 15 gennaio.
Dopo aver sottolineato che comunque si tratta di argomenti “di oltre trent’anni fa“, il carabiniere dice all’agenzia Adnkronos di voler offrire “una più corretta e completa informazione con riguardo alle frasi pronunciate in occasione della presentazione, anni fa, di un libro all’università di Chieti, e di cui si dato ampio risalto stampa, premesso che delle attività d’indagine dirette dal capitano Ultimo non conoscevo i dettagli operativi”. L’ex carabiniere sostiene che “nella foga e nella necessaria sintesi del racconto ho evidentemente sovrapposto ricordi giungendo poi a parlare del gruppo di lavoro che era stato costituito con i carabinieri di Palermo e che avrei dovuto dirigere per indagare sul circuito economico e politico di riferimento per Cosa nostra, iniziando le attività di indagine dalla documentazione che il boss, da poco catturato, aveva con sé, fornendo inconsapevolmente elementi ad interpretazioni erronee e fuorvianti”.