Lui, giovane siriano, rifugiato politico in Germania. Lei, 23enne tunisina, bloccata nel suo Paese. Un anno e mezzo fa l’accordo di matrimonio siglato online dai genitori. Un sogno che si sarebbe dovuto realizzare a breve nel territorio tedesco, dove il promesso sposo aveva gettato le basi per una vita insieme. Ma, purtroppo, domenica 26 febbraio, nelle acque del Mar Jonio, a ridosso della costa crotonese, ogni speranza di futuro è andata in frantumi. Al momento Nawel (nome di fantasia ndr) è tra i migranti dispersi a seguito del naufragio del barcone incagliatosi in una secca del mare in tempesta, a poche centinaia di metri dalla spiaggia di Steccato di Cutro, tragedia che finora ha registrato 64 vittime. “Aveva preso un volo che dalla Tunisia l’aveva portata in Turchia, dove, insieme ad altre centinaia di persone, l’attendeva il viaggio della speranza su quest’imbarcazione”: a raccontarlo è Ramzi Labidi, cooperatore culturale tunisino che, insieme alla moglie Manuelita Scigliano, nella città di Crotone ha fondato l’associazione Sabir.

Proprio loro – attivi dal 2016 nell’ambito della lotta alla povertà educativa, dell’inclusione sociale e della cooperazione internazionale – hanno accolto il grido di aiuto di Ahmed (nome di fantasia ndr): “Non appena ci è giunta la triste notizia del naufragio, ci siamo recati sul posto con i nostri operatori per offrire sostegno e mediazione linguistica. In mezzo a un dolore incommensurabile, abbiamo incrociato la disperazione di questo giovane siriano, giunto qui a Crotone per accogliere la sua promessa sposa”. Qualche ora prima, su Whatsapp aveva ricevuto alcune foto in diretta dalla barca. “Erano entrati in acque italiane, stavano festeggiando. La mia compagna era felice, finalmente eravamo a un passo dal sogno di una vita insieme”: Labidi ripete le parole intrise di sofferenza del giovane siriano che, da tre giorni, cerca la sua dolce metà tra i sopravvissuti ricoverati presso il nosocomio cittadino, le salme adagiate nel Palazzetto dello sport di Crotone e i corpi che, man mano, vengono rinvenuti in mare. Ieri, per un attimo, Ahmed ha creduto di averla ritrovata nel cadavere di una donna. Ma a far svanire ogni dubbio è stata la mancanza della grande cicatrice sul braccio, tratto distintivo di Nawel, oggi diventato un appiglio di speranza.

Come ha confidato a Labidi “da una parte auspica che, al più presto, venga ritrovato il suo corpo per concederle la giusta sepoltura in Tunisia e avere una tomba su cui piangerla, ma in cuor suo non si è spenta del tutto la flebile speranza che sia sopravvissuta”. Una speranza che accomuna diverse famiglie sopraggiunte sul luogo della tragedia da vari Paesi Europei. “Purtroppo, sono tutti fortemente turbati a livello psicologico, pertanto non realizzano finché non si trovano davanti agli occhi il corpo esanime del proprio caro” racconta il cooperatore culturale che, in questi giorni, ha aperto le porte dell’associazione Sabir per offrire un letto e un pasto caldo a parenti di vittime del naufragio, un luogo protetto in cui pregare per madri distrutte dal dolore, ma anche un sostegno burocratico per dare informazioni a chi desidera riportare la salma dei propri cari nei Paesi di origine. “Non sarà facile trovare pace, ma per quanto possibile siamo al loro fianco” conclude.

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