Lavoro & Precari

Sardegna, operai della Portovesme protestano contro la cassa integrazione salendo sulla ciminiera a 100 metri di altezza

I costi energetici che lo stabilimento deve sostenere per mantenere in attività gli impianti (oltre a Portovesme c'è quello di San Gavino) sono lievitati da circa 50 euro a megawattora fino a 700 euro. Un salasso insostenibile che ha portato l'azienda a ridurre la produzione, portando avanti un piano di razionalizzazione

Il caro energia non dà tregua, la chiusura della fabbrica sembra dietro l’angolo e i lavoratori provano a salvarla asserragliandosi a 100 metri d’altezza. È scattata stamattina intorno alle 7 – sotto un cielo carico di pioggia – la nuova protesta delle maestranze della Portovesme srl, fabbrica nel Sud Sardegna di piombo e zinco della multinazionale svizzera Glencore che garantisce 1.300 buste paga ai lavoratori diretti, alle quali vanno aggiunti gli appalti.

Il blitz dei lavoratori, esasperati, è legato alla questione energetica. In particolare i costi che lo stabilimento (dove si lavorano anche oro, argento, rame e acido solforico) deve sostenere per mantenere in attività gli impianti (oltre a Portovesme c’è quello di San Gavino) e che sono lievitati da circa 50 euro a megawattora fino a 700 euro. Un salasso insostenibile che ha portato l’azienda a ridurre la produzione, portando avanti un piano di razionalizzazione con il ricorso alla cassa integrazione per circa 600 dipendenti a rotazione.

Lungi dal migliorare, la situazione è esplosa. Nonostante rassicurazioni varie. Già nel dicembre scorso l’annuncio del ricorso alla cassa integrazione per tutti i lavoratori e lo stop agli impianti dal 1 febbraio 2023. Situazione respinta dalle organizzazioni sindacali e alla quale sono seguite una serie di interlocuzioni istituzionali. L’ultima a gennaio con la Regione. In quell’occasione i vertici della fabbrica hanno deciso, dopo l’impegno della Regione e in attesa di soluzioni promesse ma mai arrivate, di rinviare la fermata e l’avvio della cassa integrazione, posticipandola a marzo.
La soluzione al problema era stata individuata ed era ben chiara: la sottoscrizione di un accordo bilaterale tra l’azienda e il fornitore di energia caldeggiato anche dalla Regione, ma evidentemente solo a parole. Tanto che le organizzazioni sindacali fanno sapere che “a oggi non c’è ancora nulla e dalla Regione ci aspettiamo un’assunzione di responsabilità.
In un lungo comunicato i lavoratori spiegano le ragioni di questa decisione estrema, ma nel rispetto delle regole democratiche, annunciando che andrà avanti fino al raggiungimento degli obiettivi. A partire da un incontro con il ministero del Made in Italy finalizzato alla risoluzione del problema.


video Ansa