Due mantra sono ormai entrati stabilmente nell’immaginario collettivo, soprattutto dopo il biennio pandemico: “scienza” e “competenza”. Ad ogni piè sospinto ci viene raccontato, e ci raccontiamo a nostra volta, che la soluzione di ogni problema ci verrà dalla “scienza” e che – per onorare al meglio un ruolo o per svolger a dovere un compito – ci vuole “competenza”. Ora interroghiamoci sul perché scienza e competenza non funzionino, per così dire, sempre, ma solo a intermittenza.
Vanno bene quando assecondano una certa visione del mondo, un certo consolidato “comune sentire” in ordine a determinate questioni, un certo “unico” pensiero su taluni temi. Se, invece, esse si pongono in posizione dubitativa, improvvisamente perdono i loro poteri salvifici e taumaturgici e spariscono dai radar della visibilità mediatica. Facciamo un esempio concreto con uno degli argomenti odierni più gettonati e “indiscussi”: il cambiamento climatico di origine antropica. Un fenomeno che mette sicuramente in campo la necessaria e preliminare “competenza scientifica” per essere approcciato in modo serio e razionale.
Ebbene, per coerenza con i prodromi da cui siamo partiti dovrebbe interessarci assai l’opinione di alcuni scienziati di comprovata esperienza e selezionata specializzazione. Ecco alcuni nomi: Franco Battaglia, professore di Chimica Fisica dell’Università di Modena; Uberto Crescenti professore Emerito di Geologia Applicata dell’Università di Chieti-Pescara; Mario Giaccio, professore di Economia delle Fonti di Energia dell’Università di Chieti-Pescara; Enrico Miccadei, professore di Geografia, Fisica e Geomorfologia all’Università di Chieti-Pescara; Giuliano Panza, professore di Sismologia nonché dell’Accademia Nazionale delle Scienze dell’Università di Trieste; Alberto Prestininzi, professore di Geologia applicata dell’Università La Sapienza di Roma; Franco Prodi, professore di Fisica dell’Atmosfera dell’Università di Ferrara; Nicola Scafetta, professore di Fisica dell’atmosfera e Oceanografia dell’Università di Napoli.
Vi convincono i titoli e le qualifiche dei luminari succitati? Possiamo serenamente ammettere che la loro preparazione “scientifica” e la loro “competenza” sono a prova di bomba? Possiamo dar loro sufficiente credito in un eventuale dibattito, per esempio, con Greta Thunberg? Le domande sono ovviamente retoriche, se non ironiche, e ci conducono dritti dritti a dare conto di una interessante, anzi “illuminante”, iniziativa dei suelencati accademici: un comunicato stampa del 24 febbraio 2023, indirizzato al Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Il breve, ma chiarissimo testo riporta delle affermazioni in grado di terremotare, letteralmente, tutto quanto molti profani pensano di “sapere” sul punto.
L’incipit da già la scossa: “Posto che quella dell‘emergenza climatica causata dalle emissioni antropiche è un’emergenza priva di fondamento scientifico, e posto che i sostenitori della stessa si sono più volte sottratti al confronto scientifico (…)”. Dopodiché, i nostri affondano il colpo: “Le emissioni italiane e della Ue-27 incidono, rispettivamente, per meno dello 0.9% e per meno del 9% su quelle mondiali. Le emissioni mondiali sono aumentate del 60% rispetto ai livelli del 1990 e i soli due Paesi Cina e India, le cui emissioni sono oltre il 40% di quelle mondiali, stanno attuando politiche energetiche che, a dispetto di ogni dichiarazione, sono di fatto volte all’incremento cospicuo delle emissioni”.
Infine, ecco la conclusione: “Noi di Clintel-Italia chiediamo pertanto che, in proposito, il governo italiano faccia sentire la propria voce in sede Europea. Naturalmente reiteriamo quella sfida al confronto scientifico al quale gli assertori dell’emergenza climatica indotta dalle emissioni antropiche di CO2 si sono sempre sottratti”. Ora proviamo a tirare le fila del discorso. Se concordiamo sul fatto che “scienza” e “competenza” rappresentano i pre-requisiti senza i quali non si può affrontare alcun problema e se siamo d’accordo sullo specchiato curriculum scientifico degli estensori del comunicato di cui sopra allora sorgono spontanee, come usa dire, alcune domande.
Perché costoro non solo mettono in dubbio, ma negano addirittura la retorica allarmistica sul climate change causato dall’uomo? Ancora: perché non trovano una ribalta adeguata sui media generalisti? E infine: perché la controparte catastrofista si sottrae a quel dibattito che è il sale e il lievito del metodo (e del progresso) scientifico? Considerata la posta in gioco (il destino delle nostre economie, del nostro tenore di vita, del mondo intero addirittura) forse a certe voci, scientifiche e competenti, andrebbe dato più spazio. O forse bisognerebbe almeno capire per quali reconditi motivi (interessi?) ciò non avviene. Non di sola Greta dovrebbe vivere la narrazione del cambiamento climatico.