Medici senza frontiere è arrivata nella città di Adiyaman, dove migliaia di edifici sono stati distrutti. Qui, grazie alla cooperazione con altre organizzazioni partner locali, la ong cerca di rispondere ai bisogni di chi è stato colpito dal sisma del 6 febbraio
Villaggi rasi al suolo, case inagibili, sfollati al freddo che dipendono dagli aiuti esterni. Le testimonianze di Medici Senza Frontiere che arrivano dalle zone colpite dal terremoto in Turchia e Siria del 6 febbraio – che ha causato la morte di oltre 50mila persone – descrivono situazioni di gravi difficoltà, a cui la ong cerca di rispondere, con la distribuzione nelle aree rurali di beni di prima necessità, tra cui tende, cibo, kit igienici e vestiti caldi, in collaborazione con diverse organizzazioni partner locali. “La prima cosa che facciamo in queste situazioni è identificare i luoghi più trascurati, dove sono arrivati meno aiuti, e valutare i bisogni delle persone – spiega Ricardo Martínez, coordinatore logistico a capo di una delle prime équipe di emergenza di Medici Senza Frontiere arrivate in Turchia dopo il terremoto, che racconta la situazione nella città di Adiyaman, una città che prima del sisma aveva quasi 300mila abitanti e dove ora migliaia di edifici sono distrutti.
“Le persone aspettavano a turno accanto agli edifici crollati, sperando di trovare i loro cari vivi, o almeno di trovare i loro corpi in modo che potessero avere una degna sepoltura e non essere portati in una fossa comune”. Gli sfollati si accampano come possono negli stadi, nelle piazze, in mezzo alle strade, e ci sono tende sparse in quasi ogni angolo della città, mentre “le temperature qui possono raggiungere i 10 gradi sotto zero di notte”. Chi ha potuto, se n’è andato in auto, magari verso Istanbul, Ankara e Antalya o verso zone rurali intorno alle città. “Le persone sono tristi e disperate, ansiose e incerte sul futuro – continua Martínez -. Molti rivivono nella loro mente le esperienze vissute e credono che possa accadere di nuovo. Nonostante la risposta significativa delle autorità e della società civile turca, l’aiuto offerto è esiguo rispetto all’enormità della situazione. Al momento, le persone hanno davvero bisogno di ripari, latrine, docce, acqua, sistemi di riscaldamento, abbigliamento invernale, generatori, coperte, kit per l’igiene e prodotti per la pulizia”. E mentre si cerca di rispondere ai bisogni di chi ha perso tutto, o quasi, ecco alcune testimonianze raccolte da Medici Senza Frontiere.
Kenan: “Sedici persone di sei famiglie vivono ora in questa casa” – “Vengo da Gölbaşı, una città di circa 60mila abitanti nel distretto di Adiyaman. Vivevo al secondo piano di un edificio a due piani. Eravamo in quattro a casa quando il terremoto ha colpito: mia moglie, mia figlia, mia suocera e io. Per fortuna siamo sopravvissuti tutti. La finestra è caduta su mia figlia, ma sta bene. Anche il mio panificio è stato distrutto. Quasi tutti gli edifici di Gölbaşı sono ora in macerie, molte persone sono morte e la maggior parte dei sopravvissuti è andata via, come noi. Siamo traumatizzati. Due giorni dopo il terremoto sono andato nella città di Adiyaman perché avevamo ricevuto la notizia che alcuni parenti erano morti. Ora viviamo ai margini di questo villaggio, Kuşakkaya, che conta circa 500 abitanti. Siamo venuti qui perché mia suocera ha una casa. Ora in questa casa vivono sedici persone di sei famiglie. Dormiamo tutti insieme nella stessa stanza, che è l’unica che rimane calda. All’inizio c’erano circa 200 sfollati in questo villaggio, ma circa la metà si è trasferita in altri luoghi come Antalya. Molte persone hanno ancora paura che la terra possa tremare di nuovo. Attualmente le nostre principali necessità sono l’alloggio e le docce, perché al momento non possiamo fare la doccia. Nei villaggi è più pulito che in città, quindi le infezioni non sono un problema per il momento, ma siamo preoccupati per le epidemie. Sono molto sollevato che non sia successo nulla alla mia famiglia, altrimenti sarebbe stata molto dura. Qui dipendiamo dall’assistenza che riceviamo. Le persone che hanno risorse stanno affrontando meglio la situazione, ma quelle che non ne hanno dipendono dagli aiuti”.
Miyase Kürk: “Le mie principali preoccupazioni sono avere un tetto adeguato sopra la testa e la salute e il benessere dei miei figli” – “Sono cresciuta in questo villaggio, Yazica, ma dopo essermi sposata mi sono trasferita nella vicina città di Adiyaman, da cui proviene mio marito, e vivo lì da 15 anni. La notte del terremoto ci sono stati circa sette momenti in cui ho pensato di morire. Vivevamo in un appartamento in affitto in un edificio di sei piani. L’edificio non è crollato, ma è stato gravemente danneggiato. Quella notte aveva nevicato e ho passato la notte all’aperto con i bambini; ci siamo coperti con dei teli di plastica. Mio marito è andato ad aiutare a cercare le persone negli edifici vicini; quando ci ha raggiunti la mattina dopo aveva le mani coperte di sangue. Il terzo giorno siamo venuti a Yazica, perché i miei genitori hanno una casa qui. Ora qui vivono insieme circa 30 parenti di nove famiglie diverse, tutti di Adiyaman tranne una persona che viene da Gaziantep. Questa casa a un piano è stata leggermente colpita [dai terremoti]. La struttura dei servizi igienici esterni e il sistema idrico non funzionano correttamente e abbiamo paura di entrare. Ci sono state date due tende perché non c’è abbastanza spazio per tutti in casa. Le mie principali preoccupazioni sono quelle di avere un tetto adeguato sopra la testa e la salute e il benessere dei nostri figli. Anche se siamo tutti una famiglia, finiamo per litigare spesso perché viviamo tutti uno sopra l’altro. Speriamo che Dio ci aiuti a superare questa situazione”.
Ülkükaya: “Ogni volta che c’è una scossa di assestamento, la casa si muove di nuovo” – “Nel nostro villaggio, Karahoyük (vicino all’Elbistan), 25 delle 60 case sono crollate; di quelle ancora in piedi, 15 hanno gravi danni, come grandi crepe nei muri. La mia casa a un piano è stata gravemente danneggiata. Tutti i vetri sono andati in frantumi e anche gli utensili e i piatti della cucina si sono rotti. Abbiamo paura di entrare e quindi ci limitiamo a entrare molto velocemente per andare in bagno. Le crepe sono sempre più grandi e ogni volta che c’è una scossa di assestamento la casa si muove di nuovo. Dopo il primo terremoto siamo usciti in cortile. Il giorno dopo abbiamo costruito una tenda improvvisata con alcuni teli di plastica che normalmente usiamo per le attività agricole. Per una settimana siamo rimasti in questa tenda improvvisata, poi un vicino ci ha ospitato in una piccola casa che non aveva subito danni. Ma non possiamo restare lì a lungo, per questo avevamo bisogno di una tenda vera e propria per me e i miei due figli (tenda che poi è stata donata da Medici senza frontiere attraverso un’organizzazione partner). Finora abbiamo ricevuto alcuni aiuti di base, come cibo e vestiti. Siamo grati a tutti coloro che ci hanno dato qualcosa. Ora abbiamo bisogno che la nostra casa venga ispezionata per poter tornare a viverci”.
Ali Eran: “Quest’anno sarà molto duro” – Sono il mukhtar [capo locale eletto] di Gümüs Dögen, un villaggio vicino alla città di Elbistan […]. Ieri i medici sono venuti a controllare gli abitanti del villaggio e hanno portato le medicine per gli anziani, ma non abbiamo abbastanza gas e abbiamo bisogno di combustibile per il riscaldamento, come la legna. Quest’anno sarà molto duro. Non ho mai vissuto un’esperienza simile. Fa freddo, c’è la neve e tutto è chiuso, compresi i negozi e le attività commerciali. Sto supervisionando la raccolta di aiuti per il nostro villaggio; faccio annunci attraverso gli altoparlanti per distribuirli”.