di Mauro D’Aveni
Impossibile parlare di pace in una società fondata sulla creazione del nemico e il pensiero binario e su individualismo e competitività senza regole come stile di vita. Se l’unica cosa che conta è vincere e il successo si basa su aggressività e assenza di scrupoli, è ovvio che per l’Io qualsiasi Altro è il nemico.
Questo modo di pensare – per molti ormai di essere – si somma alla plurisecolare convinzione di superiorità della nostra civiltà su tutte le altre e quindi alla legittimità dell’esportazione del nostro modello di vita, di pensiero e di economia, di volta in volta necessaria per portare, con la filantropia che ci contraddistingue, alle barbare popolazioni locali la vera religione, la migliore civiltà mai comparsa sulla terra, la democrazia.
Non ce la facciamo, è più forte di noi. Per noi i cinesi sono tutti commercianti di calzini al mercato e gli africani venditori di perline sulla spiaggia: l’idea che rappresentino millenarie civiltà d’altissimo valore e dignità almeno pari alla nostra non ci sfiora neppure.
Pensiamo di addolcire questa triste realtà (ovvero che siamo razzisti, presuntuosi, violenti e imperialisti, tanto dentro la nostra società quanto fuori) con la retorica del politicamente corretto, l’ipocrisia – fatta sistema – della difesa dei valori fondanti – e sistematicamente disattesi – della democrazia, il buonismo a senso unico d’un’incessante narrazione disneyana.
Questo scontro di civiltà è plasticamente riassunto dall’incontro tra Joe Biden e Xi Jinping sulla guerra in Ucraina, tenutosi in videochiamata il 17 marzo 2022, così descritto nei resoconti dei principali quotidiani.
Xi Jinping: “Dobbiamo guidare lo sviluppo delle relazioni Cina-Usa sulla strada giusta, ma dobbiamo anche assumerci le nostre dovute responsabilità internazionali per compiere gli sforzi per la pace e la tranquillità nel mondo”.
Joe Biden: “Fate sì che Mosca metta fine a questa orribile guerra. La Cina scelga il lato giusto della Storia, altrimenti ci saranno implicazioni e conseguenze“.
Xi Jinping: “Spetta a chi ha legato il sonaglio al collo della tigre il compito di toglierglielo”.
A microfoni spenti e dopo una riunione di staff alquanto lunga, spiegheranno al vecchio cowboy chi era la tigre e chi le aveva messo al collo il sonaglio. Cosa possono mai saperne, del resto, e capirne, questi americani, d’un tal Huì Hòng, poeta della dinastia Song che governò la Cina dal 960 al 1279? Gli amerindi, quelli sì, quelli l’avrebbero capita subito! Ma loro non conoscevano il pensiero binario, si sedevano sui talloni, accendevano un calumet e lentamente, a turno, argomentavano per aforismi, la cui comprensione richiede un ascolto attento e un minimo di ragionamento. Uno di questi invitava alla cautela nei giudizi: prima di giudicare qualcuno, cammina per tre lune nei suoi mocassini.
Noi no. Noi ragioniamo solo più in modo binario: sì/no, vero/falso, buono/cattivo, giusto/sbagliato. Perché è più semplice, più immediato ed è più facile identificare il nemico, capire da che parte stare, senza se e senza ma, e redigere chiarissime liste di proscrizione.
Quindi, quando intavoliamo una qualunque trattativa, vogliamo stare a capotavola, diamo ordini e facciamo i bulli, perché, come dice il supremo cowboy, la parte giusta della storia, inevitabilmente, è la nostra.
Presuntuosi come siamo non ci accorgiamo neppure di quanto conti – in termini d’abitanti, gioventù e risorse, quindi d’economia e futuro – il mondo che non ha votato contro la Russia nessuna delle risoluzioni Onu. Se scateniamo una nuova bipolarizzazione del mondo, questa volta, i perdenti – senza se e senza ma – saremo noi.
Se a qualcuno la mia analisi è parsa troppo sbilanciata e critica verso l’Occidente, sappia che ha ragione. Sappia però che nulla c’entra l’anti qualcosa o il pro qualcuno, semplicemente, da italiani, europei e occidentali, applichiamo un buon insegnamento di quei pellerossa dei nostri vecchi: prima di guardare in casa d’altri, guarda a casa tua.