A tre giorni dal naufragio di migranti sulle coste di Crotone, costato la vita a 67 persone, ci sono una serie di punti ancora non chiariti e più passano le ore più alcune dichiarazioni finiscono per smorzare, smentire o smontare le ricostruzioni ufficiali finora fornite dalle forze militari intervenute (o meno) nella notte che ha preceduto lo schianto del caicco, partito da Smirne il 21 febbraio, su una secca. L’ultimo tassello lo ha aggiunto il comandante della Capitaneria di porto di Crotone, Vittorio Aloi, spiegando che il mare era forza 4, una condizione assolutamente gestibile per diverse imbarcazioni di pronto intervento. Le condizioni meteo-marine, insomma, non erano un problema per la Guardia costiera: un intervento era tecnicamente possibile. Tutto il contrario di quanto, fin dalle prime ore dopo il naufragio, è stato lasciato intendere anche dalle autorità. A iniziare dalla sottosegretaria all’Interno Wanda Ferro, che in un’intervista al Corriere della Calabria ha parlato di “oggettiva impossibilità di intervenire a causa delle condizioni del mare forza 7″.
Il “distress” che non risulta (ma c’è)
Il numero uno della Guardia costiera crotonese, oltre a chiarire le condizioni meteo, ha anche spiegato che la segnalazione ricevuta nelle prime ore di sabato 25 febbraio – sostanzialmente 24 ore prima del naufragio – su un’imbarcazione in “distress”, ovvero in pericolo, nel mar Ionio, senza alcuna indicazione sulla posizione né alcuna altra specifica a lui “non risulta” che si trattasse di “segnalazione di distress”. Il realtà nel dispaccio del Centro di coordinamento dei soccorsi marittimi della Guardia Costiera alle navi in area si parla proprio di “a boat in distress”, cioè una barca in pericolo, come dimostra la schermata dell’allerta pubblicata dal giornalista di Radio Radicale Sergio Scandura. Mancano ancora 16 ore alla segnalazione del velivolo Eagle1 di Frontex. Il punto è chiarire se l’alert sia partito proprio la barca poi schiantatasi a Steccato di Cruto che in quel momento, secondo la ricostruzione finora fornita, si trovava a oltre 130 miglia dalla costa, distanza che renderebbe impossibile trasmettere il mayday con un Vhf come è stato fatto.
L’allarme dell’Agenzia europea
L’avvistamento avviene alle 22.30 di sabato 25. L’aereo fotografa la barca e, alle 23.03, il quartier generale dell’Agenzia europea a Varsavia invia una mail all’International coordination center di Frontex in Italia che si trova a Pratica di Mare ed è un organismo interforze. Per conoscenza, la mail viene inviata anche ad altri 26 indirizzi, tra i quali quello dell’Italian maritime rescue coordination centre (Imrcc) e alla centrale operativa della Guardia di Finanza. Nella mail si parla di un’imbarcazione dal colore “irriconoscibile”, vengono indicate le coordinate e la velocità di 6 nodi. Il documento indica una persona “nel ponte superiore” e “possibili altre persone sotto coperta”. La “galleggiabilità” dell’imbarcazione è “buona”, non ci sono persone in mare e “non è visibile” la presenza di giubbotti di salvataggio. Frontex sottolinea anche che è stata rilevata dai “portelli aperti a prua una significativa risposta termica”. E allega tre immagini, una con la posizione e due dell’imbarcazione. I piloti dell’aereo segnalano che grazie al sistema di monitoraggio è stata rilevata “una chiamata satellitare dall’imbarcazione alla Turchia”. Non c’è certezza, ma il sospetto è ovviamente che si tratti di una barca con molti migranti a bordo. L’imbarcazione è in questo momento a circa 40 miglia dalle coste italiane, cioè fuori dalle acque territoriali che arrivano fino a 12 miglia – e possono salire a 24 in caso di immigrazione – ma si trova già in zona Sar, ovvero di ricerca e soccorso, di competenza italiana.
I tentativi della Finanza
La segnalazione di Frontex dà il via a un’operazione di law enforcement, cioè di polizia, l’intervento è quindi dei finanzieri. Anche se in quel momento la barca di migranti si trova a 28 miglia, cioè ben oltre le acque italiane dove la Guardia di Finanza ha competenza. Questo, forse, spiega perché lo scafo veloce V.5006 e il pattugliatore Barbarisi convergono verso la barca per la prima volta attorno a mezzanotte, un’ora dopo la segnalazione. Non riescono a continuare la navigazione e rientrano. Come ha rivelato Il Fatto Quotidiano, ci riprovano poco dopo ma il risultato è lo stesso. Condizioni “avverse” del mare, viene detto ufficialmente. Di certo il caicco non viene intercettato. Nel frattempo l’aereo di Frontex ha mollato il barcone perché a corto di carburante e sostanzialmente i migranti sono in navigazione senza alcun tipo di monitoraggio aereo, aspetto che certamente rende più complicato rintracciarli via mare. Perché chi coordinava l’operazione non ha disposto l’intervento di elicotteri, a maggior ragione se si trattava di law enforcement? Di mezzi aerei, tra l’altro, dispone anche la Guardia costiera a Catania e in passato si sono levati in volo più volte per supportare le operazioni via mare.
La telefonata e il ‘buco’
Insomma, in piena notte la barca di migranti continua a navigare verso la Calabria senza che nessuno ne monitori l’assetto e la rotta. Al rientro della V.5006 e del pattugliatore Barbarisi, come ricostruito dal Fatto, la Guardia di finanza chiama la Guardia costiera. I finanzieri – riproduciamo il dialogo nel suo contenuto e non in senso letterale – chiedono: “Avete iniziative in corso?”. La Capitaneria di porto risponde: “No. Non riteniamo che vi siano i presupposti per una Sar (operazione di salvataggio, ndr), poiché l’imbarcazione naviga autonomamente e non ci sono persone visibili a bordo”. Mancano circa tre ore al naufragio e la Guardia costiera a Crotone ha almeno un mezzo, il CP321, in grado di prendere il largo con quel mare. Che non fosse una questione di unità navali, di difficoltà del mare, lo ha confermato anche Aloi: “A noi risulta che domenica il mare fosse forza 4 ma motovedette più grandi avrebbero potuto navigare anche con mare forza 8″. La vicenda appare più una questione di limacciosa burocrazia: “Perché non siamo usciti? Non è così il discorso. Dovreste conoscere i piani, gli accordi che ci sono a livello ministeriale. Le nostre regole di ingaggio sono una ricostruzione molto complessa non da fare per articoli di stampa. Ci sarebbe bisogno di specificare molte cose su come funziona il dispositivo per il plottaggio dei migranti, da che arrivano nelle acque territoriali a che poi debbano essere scortati o accolti: le operazioni le conduce la Gdf finché non diventano Sar. In questo caso la dinamica è da verificare”.
Il naufragio
I primi a intervenire sono due carabinieri del radiomobile della Compagnia di Crotone. Sono le 4.30: i militari hanno salvato 2 persone e recuperato 17 corpi. “Ci siamo avvicinati, immergendoci in acqua, notando la presenza di due corpi privi di conoscenza, sotto l’imbarcazione ed in pericolo di essere schiacciati… una donna era già deceduta, mentre un uomo era in sofferenza respiratoria”, scrivono nella loro relazione. L’allarme per la Guardia costiera scatta invece alle 4.37 quando, come spiega la Capitaneria di porto nella sua relazione sul naufragio finita agli atti dell’inchiesta, riceve una segnalazione tramite il 1530, il numero per le emergenze in mare, “riguardo la presenza di una barca a circa 40 metri dalla foce del fiume Tacina su un fondale presumibilmente sabbioso e con profondità di circa 3 metri”. Alle 4.55 “ci ricontattava il segnalante riferendo che le persone si stavano tuffando in acqua e stavano nuotando verso riva, evidenziava, inoltre, la presenza di probabili cadaveri e che la barca si era distrutta”, si legge ancora nella relazione. “Alle 5.35, la prima pattuglia di terra Guardia Costiera, giunta sul posto, riferiva di numerose persone in stato di ipotermia in spiaggia, trascinate a riva dalla risacca così come alcuni cadaveri. La motovedetta CP 321, intervenuta da Crotone, iniziava attività di ricerca e soccorso al largo”. L’ennesima conferma che quella notte in mare ci poteva stare.