Scontro tra la Chiesa italiana e il governo dopo la tragedia di Cutro, in Calabria. A infiammare l’episcopato della Penisola sono state le dichiarazioni del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, che ha affermato che “chi scappa da una guerra non deve affidarsi a scafisti senza scrupoli”. Immediata e durissima la condanna di queste parole da parte dell’arcivescovo di Palermo, monsignor Corrado Lorefice, che non ci sta a restare in silenzio, forte anche della posizione di Papa Francesco che a Lampedusa, nel primo viaggio del suo pontificato, l’8 luglio 2013, condannò con fermezza la “globalizzazione dell’indifferenza” proprio davanti a simili tragedie.

“Non c’è spazio oggi – ha affermato Lorefice – per i qualunquismi: è tempo per tutti noi di rifuggire con chiarezza da ogni narrazione tesa a colpevolizzare l’anello più debole della società. La responsabilità è nostra: quel che è avvenuto a Cutro non è stato un incidente, bensì la naturale conseguenza delle politiche italiane ed europee di questi anni, la naturale conseguenza del modo in cui noi cittadini, noi cristiani, malgrado il continuo appello di Papa Francesco, non abbiamo levato la nostra voce, non abbiamo fatto quel che era necessario fare girandoci dall’altra parte o rimanendo tiepidi e timorosi”. Per il presule “il culmine simbolico di tutto ciò è stata la dichiarazione resa dal ministro Piantedosi, un uomo delle istituzioni che ha prestato il proprio giuramento sulla Costituzione italiana – la stessa Costituzione che prima di ogni altra cosa riconosce e garantisce quei diritti inviolabili dell’uomo –, il quale ha ribaltato la colpa sulle vittime. Come mi sono già trovato a dire, durante la preghiera per la pace del 4 novembre 2022, rischiamo tutti di ammalarci ‘di una forma particolare di Alzheimer, un Alzheimer che fa dimenticare i volti dei bambini, la bellezza delle donne, il vigore degli uomini, la tenerezza saggia degli anziani. Fa dimenticare la fragranza di una mensa condivisa’”.

L’arcivescovo di Palermo ha sottolineato che i morti di Cutro “ci avrebbero chiesto, se fossero riusciti ad approdare – ce lo chiedono gli occhi sgomenti, atterriti dei sopravvissuti – su cosa fondiamo oggi noi europei, noi occidentali, la promessa che abbiamo fatto quando abbiamo scritto la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Ci avrebbero chiesto – e ora tocca a noi, da cittadini, da cristiani, chiedercelo e chiederlo a nome di ognuno di loro ai governi italiano ed europeo – se abbiamo compreso che quella promessa l’abbiamo fatta innanzitutto a coloro che ancor oggi scappano dai luoghi in cui questi diritti sono sconosciuti, violati, e se ci siamo resi conto che lasciandoli morire li abbiamo violati noi stessi, per primi. Non è solo dinanzi a quello che è accaduto in Calabria che ci sentiamo di dover fare questa affermazione, ma anche e soprattutto dinanzi alla negazione delle responsabilità, alla gravità della loro elusione, alla mancanza di consapevolezza politica ed umana da parte delle istituzioni nazionali ed internazionali impegnate solo a stringere accordi con Paesi come la Libia per trattenere e sospingere i migranti in veri e propri campi di concentramento”. Il presule, inoltre, ha ribadito che i credenti non possono restare indifferenti davanti a queste tragedie: “Come cristiani, memori della parola del Vangelo del Messia che si è fatto povero e ha sposato la causa dei poveri, insieme alle donne e agli uomini di buona volontà e alle numerose associazioni umanitarie impegnate nel Mediterraneo e sulle rotte di terra, crediamo che sia necessario rispondere ai tanti interrogativi ancora aperti sul naufragio di Cutro e che venga dissipato ogni equivoco sulla gravissima responsabilità di chi non soccorre i naufraghi lasciandoli morire in mare. Si aprano una volta per tutte i tanto attesi corridoi umanitari, si agisca sul diritto di asilo, si lavori sull’integrazione. Facciamo insieme di questa nostra terra un giardino fecondo di vita, in cui celebrare e sperimentare la convivialità delle differenze”.

Parole che fanno eco a quelle altrettanto chiare del presidente della Cei e arcivescovo di Bologna, il cardinale Matteo Maria Zuppi: “Questa ennesima tragedia, nella sua drammaticità, ricorda che la questione dei migranti e dei rifugiati va affrontata con responsabilità e umanità. Non possiamo ripetere parole che abbiamo sprecato in eventi tragici simili a questo, che hanno reso il Mediterraneo in venti anni un grande cimitero. Occorrono scelte e politiche, nazionali ed europee, con una determinazione nuova e con la consapevolezza che non farle permette il ripetersi di situazioni analoghe. L’orologio della storia non può essere portato indietro e segna l’ora di una presa di coscienza europea e internazionale. Che sia una nuova operazione Mare nostrum o Sophia o Irini, ciò che conta è che sia una risposta strutturale, condivisa e solidale tra le istituzioni e i Paesi. Perché nessuno sia lasciato solo e l’Europa sia all’altezza delle tradizioni di difesa della persona e di accoglienza”.

Un invito a restare umani è arrivato dal parroco di Botricello, in provincia di Catanzaro, don Rosario Morrone, tra i primi ad accorrere sul luogo della tragedia. A Il Fatto Quotidiano ha ricordato che “abbiamo l’accoglienza nel sangue. Soprattutto in Calabria. Io ho 55 anni, Meloni 46. Vorrei parlare con lei di umanità. Salvini ne ha 49 e con lui vorrei parlare di quale Vangelo legge e quale rosario recita, perché i miei sono diversi”. Sulla stessa linea il presidente della Commissione episcopale per le migrazioni e della Fondazione Migrantes, oltre che arcivescovo di Ferrara-Comacchio, monsignor Gian Carlo Perego. Il presule ha sottolineato che la tragedia di Cutro è avvenuta “mentre i rami del Parlamento approvano un urgente e straordinario decreto per regolare i flussi migratori, che di urgente e straordinario ha solo l’ennesima operazione ideologica, indebolendo in realtà le azioni di salvataggio in mare delle navi ong”.

Per Perego quanto avvenuto è “un nuovo drammatico segnale sulla disperazione di chi si mette in fuga da situazioni disumane di sfruttamento, violenza, miseria e di chi è indifferente politicamente a questo dramma. Un nuovo drammatico segnale che indebolisce la democrazia, perché indebolisce la tutela dei diritti umani: dal diritto alla vita al diritto di migrare, al diritto di protezione internazionale. Mentre queste morti non possono che generare vergogna, chiedono un impegno europeo per un’operazione Mare nostrum, che metta strettamente in collaborazione le istituzioni europee, i Paesi europei, la società civile europea rappresentata dalle ong”.

Il direttore di Caritas Italiana, don Marco Pagniello, ha sottolineato che la tragedia di Cutro è avvenuta “all’indomani della conversione in legge del decreto che limita gli interventi di salvataggio in mare. Caritas Italiana ribadisce l’urgenza di una risposta strutturale e condivisa con le istituzioni e i diversi Paesi, affinché l’Italia e l’Europa siano all’altezza delle loro tradizioni, delle loro radici e del loro umanesimo. La questione delle migrazioni, della fuga dalla miseria e dalle guerre, non può essere gestita come fosse ancora un’emergenza. Penalizzare, anziché incoraggiare, quanti operano sul campo non fa che aumentare uno squilibrio di umanità. La vita è sacra e va salvaguardata, sempre: salvare le vite resta un principio inviolabile. Caritas ribadisce l’urgenza di una risposta strutturale e condivisa sul fenomeno globale delle migrazioni”.

“Come già il Consiglio permanente della Cei ebbe a ricordare alla vigilia delle elezioni, – ha aggiunto il sacerdote – è tempo di scelte coraggiose e organiche, non di opportunismi, ma di visioni. È tempo che i diversi attori si confrontino per trovare una soluzione corale e costruttiva, per il bene di tutti. Da parte sua, la Chiesa continua ad assicurare l’impegno e la disponibilità nell’operosità concreta e nel dialogo. La bussola, per i cristiani e non solo, restano i quattro verbi indicati da Papa Francesco in relazione alla questione delle migrazioni: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. L’accoglienza delle persone che arrivano e arriveranno sul nostro territorio è per noi un fatto importante, che ci impegna, al di là della discussione sull’opera delle ong e del loro ruolo nel mare Mediterraneo. Caritas Italiana, per conto della Chiesa che è in Italia e in collaborazione con altre organizzazioni e il governo, col progetto dei corridoi umanitari pone un ‘segno’: si possono, dunque si devono, organizzare vie sicure che evitino i pericoli dei viaggi per mare e che diano prospettive reali alle persone migranti”.

Twitter: @FrancescoGrana

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