L'organizzazione dei Giochi invernali 2026 ha deciso che sul prato da 25 ettari a Campo di Sotto saranno ospitati 1200 tra atleti e tecnici. Saranno posizionati dei prefabbricati, "monteremo e smonteremo tutto", assicura il commissario Sant’Andrea. Ma i danni per l'ambiente restano, stando alla relazione presentata dal comitato civico. Quello che la natura ha creato in centinaia di secoli verrebbe alterato per realizzare un insediamento umano di poche settimane
Tra i ministri, i presidenti di Regione, i sindaci e gli ingegneri che si sono incontrati a Venezia per la cabina di regia delle Olimpiadi invernali Milano-Cortina 2026, probabilmente nessuno sa cosa sia il Re di quaglie, nome scientifico “Crex crex”. Si tratta di una specie compresa nell’Allegato II della Direttiva Europea Uccelli, che nidifica in mezzo all’erba alta. È un volatile a rischio di estinzione, in quanto la sua sopravvivenza è legata a “praterie” che vengono falciate sempre più in anticipo rispetto alla maturazione dei foraggi. Le covate, quindi, vengono distrutte dall’uomo che si dedica all’agricoltura. Il suo unico rifugio è in piccoli appezzamenti prativi, come Campo di Sotto o Piana di Campo, che si trova a sud dell’abitato di Cortina d’Ampezzo. Si tratta di un prato che occupa ai limiti del bosco una superficie di 25-30 ettari. Ma è proprio lì che i Signori delle Olimpiadi hanno deciso di far sorgere, nonostante le proteste della popolazione, il Villaggio che per alcune settimane ospiterà 1.200 persone, tra atleti e tecnici. In questo modo anche il piccolo Re di quaglie vedrà scomparire l’habitat che gli consente di esistere, a causa del posizionamento di prefabbricati che saranno presi a prestito e poi saranno rimossi dopo le Olimpiadi. Ma per attrezzare un sito che ospiti l’equivalente di un quinto di tutta la popolazione di Cortina serviranno fondamenta, infrastrutture per fognature, energia elettrica, gas, smaltimento dei rifiuti. E l’ambiente sarà irrimediabilmente trasformato.
“Monteremo e smonteremo il villaggio, sarà un’occupazione temporanea, nessun esproprio, anzi indennizzeremo i proprietari”, ha detto il commissario straordinario del governo, l’ingegnere Luigi Valerio Sant’Andrea, durante un incontro con la stampa a Palazzo Balbi, sede della giunta regionale del Veneto. “Tornerà tutto allo stato attuale”, ha aggiunto il governatore leghista Luca Zaia. In una parola, per gli organizzatori il villaggio non dovrebbe creare alcun danno all’ambiente. Si tratterà di una spesa a fondo perduto, che ha previsto uno stanziamento di 47 milioni 827 mila euro, di cui 10 milioni a carico dello Stato e i rimanenti 37 milioni 827 mila euro a carico della Regione Veneto. Nella candidatura olimpica la localizzazione era prevista a nord di Cortina, nella zona di Fiames. Poi però si sono accorti che si tratta di una zona franosa e geologicamente instabile, anche se a scoppio ritardato rispetto a quello che avevano denunciato gli ambientalisti e i conoscitori della realtà territoriale. Alcuni mesi fa, dopo aver messo da parte altre ipotesi (l’ex polveriera strutture di Cimabanche o le case ex Eni a Borca di Cadore), ecco spuntare l’ipotesi Campo di Sotto.
Gli abitanti sono scesi già sul sentiero di guerra. Si sono incontrati in due affollate assemblee e hanno deciso la resistenza ad oltranza, dando mandato a un legale di ricorrere al Tar contro i provvedimenti che Società Infrastrutture Milano Cortina adotterà per ottenere la disponibilità dell’area. Nel frattempo il Comitato Civico Cortina, che due anni fa raccolse migliaia di firme contro la realizzazione della nuova pista da bob, ha pubblicato una relazione preoccupante. A scriverla è Michele Da Pozzo, dottore forestale e direttore del Parco Naturale Dolomiti d’Ampezzo gestito dalle Regole. Da Pozzo è uno studioso dell’ambiente e ricostruisce il significato da un punto di vista naturalistico di Campo di Sotto, la cui “unicità e fragilità” sono messe in discussione dal Villaggio Olimpico.
“Tali fragilità – scrive – sono dovute all’insita sensibilità dell’habitat naturale, in particolare per la presenza di specie in via di estinzione (su base regionale), sensibili ad ogni tipo di manomissione, sia in relazione alle dinamiche idrogeologiche, che sono alla base dell’unicità del mosaico di habitat. Ogni intervento di natura infrastrutturale, quindi, altererebbe irreversibilmente i delicati equilibri, giustificando, al contrario, la storica ed unica destinazione ad attività agricola”. La Piana ha un’origine post-glaciale nel sito di un antico lago di sbarramento. “Nel tempo si è creata una cotica erbosa a zolla continua, per lo più coltivata a foraggio e occasionalmente pascolata in autunno, fin dai primi insediamenti agricoli stabili nella valle di Ampezzo. – scrive Da Pozzo – La pratica agricola secolare dei proprietari terrieri, condotta a basso impatto, con concimazioni regolari, ma mai abbondanti e liquide, e con uno o due sfalci annuali, ha portato alla formazione di un sistema di prateria estremamente ricco di biodiversità”. Si tratta di una situazione unica in ambito dolomitico. “La Piana di Campo si è mantenuta in un ottimo e quasi incredibile stato di conservazione prossimo-naturale”. La classificazione europea del sistema di Natura 2000 riconduce l’habitat ad un mosaico di due tipi ambientali, le “praterie con molinia su terreni calcarei, torbosi o argilloso -limosi” e le “praterie magre da fieno con sanguisorba officinalis”. Ed è lì, oltre a specie vegetali, che si trovano il rarissimo Re di quaglie, il cardellino e l’averla piccola.
Finora Piana di Campo era stata preservata da sfruttamenti umani, a parte qualche campeggio con le tende. “Qualora un habitat come questo fosse manomesso a fini abitativi anche temporanei – scrive Michele Da Pozzo – richiederebbe movimenti di terra, siano essi di scavo o di riporto, che altererebbero in maniera irreversibile il tipo di cotica erbosa quivi insediatosi nei secoli e costantemente mantenuto ad opera dell’uomo”. Sistemare ciò che verrà alterato porterebbe solo a coprire d’erba il piano di campagna, ma “non ripristinerebbe gli habitat, con la biodiversità ad essi correlata, i quali impiegherebbero secoli a sostituire la copertura fittizia ottenuta con inerbimenti artificiali e, con gli attuali regimi pluviometrici, a prezzo di consistenti e costanti irrigazioni”. La piana alluvionale verrebbe compromessa e “si riprenderebbe da zero il processo di colonizzazione postglaciale, durato millenni e certamente non definibile come un serio ‘ripristino ambientale’”. Quello che la natura ha creato in centinaia di secoli verrebbe alterato per realizzare un insediamento umano di poche settimane, con danni irreversibili a “una straordinaria preminenza paesaggistica nel contesto della conca ampezzana, per la sua notevole integrità e visibilità, soprattutto dalla strada di accesso al paese da sud”.