È riassunta in 35 pagine l’indagine dei pm di Bergamo – i sostituti Emma Vittorio, Guido Schininà, Paolo Mandurino, Silvia Marchina e l’aggiunta Maria Cristina Rota – l’atto d’accusa sulla gestione delle prime fasi della pandemia di Covid che colpì con ferocia la provincia e la città. Sono 19 gli indagati in totale tra cui l’ex premier Giuseppe Conte, l’ex ministro della Salute, Roberto Speranza e il presidente della Lombardia Attilio Fontana. Gli altri sono Giuseppe Ruocco (componente del citato Comitato tecnico scientifico e segretario generale del ministero della Salute); Francesco Paolo Maraglino (componente del Cts e direttore dell’Ufficio V della Direzione generale della prevenzione sanitaria del ministero della Salute), Claudio D’Amario (direttore generale della prevenzione sanitaria del ministero della Salute e Direttore Operativo del Centro Nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie, deputato all’applicazione del Piano Nazionale di Preparazione e risposta per una pandemia influenzale del 9 febbraio 2006), Mauro Dioniso (componente del Cts e direttore dell’Ufficio di coordinamento degli uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera del ministero della Salute), Agostino Miozzo (componente del Comitato tecnico scientifico e di coordinatore del medesimo comitato), Silvio Brusaferro (direttore dell’Istituto Superiore della Sanità), Andrea Urbani (componente del citato Comitato tecnico e direttore generale della Direzione generale per la Programmazione sanitaria del ministero della Salute), Franco Locatelli (componente del Cts e presidente del Consiglio superiore di sanità), Giuseppe Ippolito (componente del Cts e all’epoca direttore scientifico dello Spallanzani), Giulio Gallera (assessore lombardo al Welfare), Luigi Cajazzo (direttore generale della Sanità di Regione Lombardia), Massimo Giupponi (direttore Generale dell’Ats di Bergamo), Roberto Alfio Paolo Cosentina (direttore sanitario della
Asst di Bergamo Est), Francesco Locati (direttore henerale della Asst di Bergamo Est), Giuseppe Marzulli (dirigente medico), Angelo Borrelli (all’epoca capo del Dipartimento della Protezione civile). I reati contestati sono epidemia colposa, omicidio colposo, rifiuti di atti d’ufficio, lesioni colpose e falso.
Dalla mancata attuazione del piano pandemico alle tardive richieste di mascherine e guanti – Nel primo capo di imputazione a D’Amario, Borrelli, Cajazzo, Brusaferro, Gallera e Speranza (posizione stralciata e inviata al Tribunale dei ministri) vengono contestati la cooperazione colposa nell’epidemia perché, stando all’accusa, avrebbero omesso il piano pandemico nonostante le raccomandazioni di Oms e del Pan American Health Organization, la comunicazione del 31 gennaio 2020 con la quale il direttore generale dell’Oms dichiarava che il coronav1rus rappresentava un’emergenza internazionale di sanità pubblica, il documento del 4 febbraio 2020 di Oms col quale si raccomandava di affrontare l’emergenza pandemica anche con i vigenti piani influenzali, il documento pubblicato dall’Oms nel 2014 col quale si indentificavano la Sars e le malattie da coronavirus come infezioni respiratorie acute gravi, equiparate a quelle causate dall’influenza e si segnalava quale misura di prevenzione l’implementazione del Piano pandemico, il documento pubblicato nel maggio 2017 da Oms “Pandemie Influenza Risk Management” col quale si ribadiscono le indicazioni del documento. D’Amario, Borrelli e Brusaferro, secondo i pm, avrebbero omesso l’attuazione dell’accordo per un piano nazionale di preparazione mentre Cajazzo e Gallera avrebbero omesso l’attuazione delle prescrizioni della delibera del consiglio regionale 2006 per il piano pandemico regionale. Secondo i magistrati Brusaferro propose di “non dare attuazione al piano pandemico prospettando azioni alternative, impedendo l’adozione tempestiva delle misure previste”.
A D’Amario e Borrelli viene contestato di non aver adottato le azioni di sorveglianza sui viaggiatori e sui voli indiretti e per quanto riguarda Borrelli l’affidamento “solo a partire del 20 febbraio” all’Iss la sorveglianza epidemiologica; di non aver adottato le azioni di sanità pubblica come la dotazioni di guanti, mascherine, tute per il personale sanitario inoltrando “solo” il 4 febbraio le richieste alle Regioni per quanto riguarda le giacenze e non provvedendo al “conseguente tempestivo approvvigionamento alla luce dell’insufficienza delle scorte”, di aver provveduto “solo” il 6 marzo 202o a una procedura negoziata per l’acquisto di dispositivi medici per terapia intensiva e sub intensiva. Inoltre sempre per la procura “solo” il 24 febbraio fu messo a punto un “censimento dei reparti di malattie infettive pubblici, equiparati ai pubblici e delle case di cura private accreditate e non, e al numero di ventilatori polmonari presenti nelle strutture di ricovero per singola struttura, dati peraltro aggiornati
al 2018, nonostante il Piano Nazionale di Preparazione e risposta per una pandemia influenzale del 9 febbraio 2006 raccomandi già nella fase interpandemica”. Inoltre viene contestato la non adozione di azioni che avrebbero garantito una adeguata formazione del personale sanitario. A Cajazzo e Gallera viene contestato anche di non aver censito i posti letto nei reparti di malattie infettive come previsto dal piano pandemico regionale e nel non aver verificato le dotazioni dei dispositivi di protezione personale come mascherine. “Con l’aggravante di aver cagionato la morte di più persone”. Nel secondo capo di imputazione ai 5 indagati viene contestato il rifiuto di atti d’ufficio. Per quanto riguarda D’Amario, Brusaferro e Borrelli “di attuare le prescrizioni dell’accordo” per il piano pandemico influenzale, e Gallera e Cajazzo le prescrizioni
della delibera regionale sul piano della Lombardia.
La zona rossa non istituita in Val Seriana e “lo scenario più catastrofico” – Nel terzo capo di imputazione a D’Amario, Miozzo, Ruocco, Maraglino, Brusaferro, Urbani, Locatelli, Ippolito, Dioniso viene contestato insieme a Fontana e Conte l’epidemia colposa per aver valutato, nel corso della riunione del Cts del 26 febbraio 2020 “non sussistenti le condizioni per l’estensione ad ulteriori aree della Regione, ed in particolare ai comuni della Val Seriana, tra i quali i comuni di Alzano Lombardo e Nembro, della zona di contenimento già istituita in Lombardia dal Dpcm del 23 febbraio – con cui erano state previste per dieci comuni misure volte a ridurre i contatti tra le persone nonostante nel corso della predetta riunione avessero dato atto “dei casi positivi al coronavirus in Italia che provengono da aree della Regione Lombardia diverse dalla zona rossa“, fino a quel momento istituita; nel non proporre l’estensione della suddetta zona di contenimento nemmeno il giorno successivo, “nonostante, in qualità di componenti del Cts, avessero ricevuto un rapporto aggiornato dei casi totali registrati a quella data in Lombardia pari a 401, con un incremento giornaliero, nel corso dei 5 giorni precedenti, di circa il 30%; nel limitarsi a proporre, nel corso della riunione del Cts del 28 febbraio, esclusivamente misure integrative, espressamente ispirate ad un “principio di proporzionalità ed adeguatezza” (quali, tra le altre, sospensione delle manifestazioni organizzate, sospensione degli eventi e delle manifestazioni sportive, chiusura dei servizi educativi dell’infanzia e delle scuole di ogni ordine o grado nonché della frequenza delle attività scolastiche e di formazione superiore, oltre all’adozione di misure igieniche per le malattie a diffusione respiratoria, sospensione delle procedure concorsuali, etc) senza, invece, proporre l’estensione delle misure previste per la “zona rossa” ai comuni della Val Seriana, inclusi i comuni di Alzano Lombardo e Nembro.
Questo, secondo quanto si legge nel capo di imputazione, nonostante a quella data il Cts fosse a conoscenza del numero di casi (531) registrati sino a quel momento nella Regione Lombardia e del relativo incremento rispetto ai giorni precedenti, e nonostante avessero a disposizione tutti i dati per stabilire che in Lombardia si sarebbe raggiunto il numero di 1000 casi dopo solo 8 giorni dall’accertamento del primo caso e che quindi bisognasse tempestivamente estendere anche ad altre zone le misure di distanziamento sociale della zona rossa, così come previsto dal cosiddetto Piano Covid Covid, elaborato da alcuni componenti del Cts coordinati dal professor Stefano Merler, al quale lo stesso Comitato tecnico scientifico, nella seduta del 20 febbraio 2020, aveva deciso di attenersi nell’espletamento delle sue funzioni, e che già prospettava, in condizioni come quelle accertate dal Cts in Regione Lombardia alla data del 28 febbraio, lo scenario più catastrofico per l’impatto sul sistema sanitario e sull’occupazione delle terapie intensive; nel limitarsi a proporre, anche nelle successive riunioni del 29 febbraio e del 1 marzo misure meramente integrative, senza, ancora una volta, prospettare la necessità di estendere la suddetta “zona rossa” ai comuni della Val Seriana, inclusi i comuni di Alzano Lombardo e Nembro, nonostante l’ulteriore incremento del contagio in Regione Lombardia registrato anche in tali date (in particolare 615 casi al 29 febbraio e 984 casi al 1 marzo e comunque l’avvenuto accertamento delle condizioni che, secondo il Piano Covid, corrispondevano allo scenario più catastrofico, cagionavano così la diffusione dell’epidemia da Sars Cov 2 in Val Seriana, inclusi i comuni di Alzano Lombardo e Nembro, mediante un incremento stimato non inferiore al contagio di 4.148 persone, pari al numero dei decessi in meno che si sarebbero verificati in Provincia di Bergamo, di cui 55 nel comune di Alzano e 108 nel comune di Nembro, rispetto all’eccesso di mortalità registrato in quel periodo, ove fosse stata estesa la zona rossa a partire dal 27 febbraio“.
Fontana “consapevole” ma inviò mail in cui non segnalava le criticità – Il quarto capo di imputazione riguarda Fontana (in cooperazione colposa con D’Amario, Miozzo, Ruocco, Maraglino, Brusaferro, Urbani, Locatelli, Ippolito, Dioniso e Conte) per non aver adottato le “misure di contenimento e gestione adeguate e proporzionate all’evolversi della situazione”… e non aver istituto una ‘zona rossa’ in Val Seriana, inclusi i comuni di Alzano Lombardo e Nembro, “nonostante avesse piena consapevolezza della circostanza che l’indicatore “r0” avesse raggiunto valore pari a 2, e che nelle zone ad alta incidenza del contagio gli ospedali erano già in grave difficoltà per il numero dei casi registrati e per il numero dei contagi tra il personale sanitario; nell’aver richiesto, con distinte mail del 27 e 28 febbraio al premier Conte “il sostanziale mantenimento delle misure di contenimento già vigenti in Regione Lombardia, non segnalando alcuna criticità relativa alla diffusione del contagio nei comuni della Val Seriana, inclusi i comuni di Alzano Lombardo e Nembro, e dunque non richiedendo ulteriori e più stringenti misure di contenimento … nonostante avesse piena consapevolezza della circostanza che l’indicatore “rO” avesse raggiunto valore pari a 2, e che nelle zone ad alta incidenza del contagio gli ospedali erano già in grave difficoltà per il numero dei casi registrati e per il numero dei contagi tra il personale sanitario; cagionava così la diffusione dell’epidemia” con i relativi morti.
L’omicidio colposo e il contagio dei sanitari – L’omicidio colposo è citato nel quinto capo di imputazione e riguarda tra gli altri Conte e Speranza in relazione alla morte di 55 persone avvenuta a Bergamo tra il 26 febbraio e il 5 maggio del 2020. Tra le persone che rischiano di finire sotto processo, per il sesto capo di imputazione sempre per l’epidemia, ci sono anche Francesco Locati, in qualità di dg della Asst di Bergamo Est, Roberto Alfio Paolo Cosentina, all’epoca dei fatti direttore sanitario della Asst di Bergamo Est e Giuseppe Marzulli, nella qualità di dirigente medico responsabile della struttura complessa che comprende gli ospedali di Alzano Lombardo e Gazzaniga). Ai tre la Procura di Bergamo contesta l’epidemia colposa perché non avrebbero verificato “nonostante le indicazioni contenute nelle circolari della regione Lombardia del 23 gennaio, del 27 gennaio, del 28 gennaio e del 7 febbraio 2020, la disponibilità” di guanti e mascherine “all’interno delle strutture ospedaliere delle Asst Bergamo Est e, in particolare, presso l’Ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano Lombardo; nel non effettuare presso le strutture ospedaliere delle Asst Bergamo Est e, in particolare, presso l’Ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano Lombardo, uno screening radiologico TAC ai pazienti ricoverati al 23 febbraio 2021, che manifestavano una insufficienza respiratoria, al fine di pervenire ad una diagnosi di Covid per almeno 25 pazienti, considerata l’impossibilità di una diagnosi microbiologica con tampone, che avrebbe consentito di attivare misure di isolamento e quarantena sia dei malati che del personale sanitario venuti a contatto con pazienti infetti; nel non verificare, nonostante l’indicazione contenuta nella circolare del 7 febbraio della Regione Lombardia, la presenza di una procedura che descrivesse i percorsi all’interno delle strutture ospedaliere delle Asst Bergamo Est ed in particolare presso l’Ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano Lombardo e le procedure di isolamento”.
Le bugie sulla sanificazione del pronto soccorso – Viene inoltre contestato di non aver verificato il fabbisogno di presidi di protezione, le modalità di approvvigionamento, stoccaggio e distribuzione; nel non vigilare sull’osservanza da parte degli operatori sanitari l’utilizzo delle mascherine che avrebbero provocato il contagio del personale sanitario. Non avrebbero valutato il rischio “ragionevolmente prevedibile, e conseguentemente per non avere adottato tutte le misure tecniche, organizzative e procedurali al fine di contenere la diffusione del virus all’interno dell’ospedale Pesenti-Fenaroli di Alzano Lombardo. In particolare, non fornivano ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, non richiedevano l’osservanza da parte dei lavoratori delle circolari aziendali, non vigilavano sull’osservanza da parte degli operatori sanitari”. Contestate anche le lesioni per i camici bianchi che sono stati malati per più di 40 giorni a causa del Covid. Locati e Cosentina rispondono anche di falso ideologico perché i n una mail del 28 febbraio alla’Ats di Bergamo era stata eseguita “una completa sanificazione” del pronto soccorso, che erano stati fatti i tamponi a tutti i pazienti e agli operatorie che l’ospedale di Alzano prevedeva un percorso d’accesso separato. Il reato di falso (ideologico e materiale) è contestato a Massimo Giupponi, all’epoca dei fatti direttore generale dell’Ats di Bergamo. Per i pm avrebbe in una nota protocollata in risposta a un’interrogazione aveva sostenuto, falsamente secondo i pm, che i ricoveri erano monitorati, che i pazienti passati dal Pronto soccorso di Alzano erano stati trasferiti, che erano state create aree di isolamento mentre i pazienti positivi, stano alle indagini, erano rimasti nel pronto soccorso per “diversi giorni”. Infine sarebbero stati omessi tutti gli atti amministrativi per dotare l’Atd di un adeguato piano di sorveglianza attiva che andava adottato “in tempo reale”.