Nel comunicato della procura di Bergamo sull’inchiesta per la gestione della prima ondata del Covid non c’è scritto niente. Non ci sono i nomi degli indagati e neanche le ipotesi di reato. Colpa del timore che serpeggia tra i magistrati di finire sotto procedimento disciplinare per aver violato il “bavaglio” introdotto dall’ex guardasigilli Marta Cartabia. Se avete letto sui giornali che sotto inchiesta sono finiti tra gli altri l’ex premier Giuseppe Conte, l’ex ministro Roberto Speranza e il governatore Attilio Fontana è solo grazie al lavoro dei cronisti.

Dopo tre anni di indagini, infatti, il procuratore capo di Bergamo, Antonio Chiappani, ha diffuso un comunicato surreale: una nota di 21 righe che non dice praticamente nulla. “Questo ufficio di Procura – scrive il magistrato – in data 20 febbraio ha concluso le indagini nei confronti di 17 persone che, a vario titolo, hanno gestito la risposta alla pandemia da Covid 19. Le indagini, condotte dalla Guardia di Finanza di Bergamo, sono state articolate, complesse e consistite nell’analisi di una rilevante mole di documenti acquisiti e/o sequestrati, sia in forma cartacea che informatica, presso il Ministero della Salute, l’Istituto Superiore di Sanità, il Dipartimento della Protezione civile, Regione Lombardia, Ats, Asst, l’ospedale Pesenti-Fenaroli di Alzano Lombardo, nonché di migliaia di mail e di chat telefoniche in uso ai soggetti interessati dall’attività investigativa, oltre che nell’audizione di centinaia di persone informate sui fatti, attività questa alla quale hanno partecipato anche in prima persona i Pm delegati”.

Si tratta di un’inchiesta delicatissima e molto importante per l’interesse dei cittadini. Ma chi sono gli indagati? Di cosa sono accusati? Non si sa, perché il magistrato usa le ultime righe per ribadire che l’indagine “è stata oltremodo complessa sotto molteplici aspetti e ha comportato altresì valutazioni delicate in tema configurabilità dei reati ipotizzati, di competenza territoriale, sussistenza del nesso causalità ai fini dell’attribuzione delle singole responsabilità, e ha consentito innanzitutto di ricostruire i fatti così come si sono svolti a partire dal 5 gennaio 2020″. Quindi, all’ultima frase, ecco l’unica mezza notizia: “All’esito delle attività la procura ha pertanto redatto l’avviso di conclusione delle indagini, che come è noto non è un atto d’accusa“. Ora: che l’avviso di conclusione delle indagini non sia un atto d’accusa è noto. Ma è anche noto che, se avesse voluto, la procura avrebbe già archiviato le posizioni di tutti gli indagati. È per questo che è importante capire quali siano le contestazioni mosse dagli investigatori, quali le risultanze di tre anni d’inchiesta e soprattutto quali le persone sottoposte a indagini: secondo gli inquirenti chi è che ha sbagliato a non imporre subito la zona rossa in Val Seriana?

Se queste informazioni non sono contenute nel comunicato della procura, però, non è colpa dei magistrati, che hanno dovuto rispettare l’assurda norma varata dal governo di Mario Draghi. Un decreto che, con la scusa della presunzione d’innocenza, vieta a pm e investivatori di parlare coi giornalisti. Lo può fare solo il procuratore capo (quindi Chiappani) che deve decidere quando ricorrono rilevanti ragioni di interesse pubblico. In quel caso diffonde un comunicato ufficiale. Che però deve seguire strettissimi paletti lessicali. Per esempio questo: “È fatto divieto alle autorità pubbliche di indicare pubblicamente come colpevole la persona sottoposta a indagini o l’imputato fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili”. Cosa vuol dire? La norma è assai vaga e l’effetto è che chi scrive il comunicato, per evitare il rischio di finire sotto sanzione disciplinare, decide di diffondere comunicati vuoti: via i nomi degli indagati e pure i reati ipotizzati. Persino quando si tratta di un’inchiesta per epidemia colposa che riguarda un ex presidente del consiglio. Dovevano mettere il bavaglio ai giornalisti. Dopo una serie di tentativi andati a vuoto, lo hanno applicato alle fonti.

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