Livia Turco in un messaggio a Elly Schlein, dopo la sua elezione, ha scritto “si avvera il sogno per cui abbiamo lottato, una Segretaria a capo del più grande partito della sinistra”. E’ stato questo il sogno di tante donne in questi decenni e la vittoria di Schlein la si deve in larga parte a loro. Non solo per una voglia di riscatto, ma per una consapevolezza, ormai sempre più diffusa, che una visione femminista è necessaria, uno sguardo diverso sul mondo e su come affrontare e aggredire i problemi che lo affliggono è l’unica possibilità di cambiamento, che un cambio di paradigma per eleminare le disuguaglianze, per curare questo pianeta malato, per azzerare le discriminazioni è urgente. E questa consapevolezza diffusa fra la gente lo è molto meno fra i politici se, e pareva impossibile, Schlein ha ribaltato il verdetto dei circoli.

La distanza fra il partito e i suoi potenziali elettori, fra il dentro e il fuori, che è sicuramente una delle cause delle ultime sconfitte del Partito Democratico, si è plasticamente materializzata in queste primarie. Tante e tanti si sono mobilitati perché prevalesse Elly Schlein, una femminista, ecologista, attenta ai diritti civili come a quelli sociali, che non vuole “rottamare” ma costruire un ponte intergenerazionale, che vuole demolire i modelli che sino a oggi hanno portato povertà, precarietà e che stanno distruggendo la scuola e la sanità pubblica perché, come ha detto nel suo discorso dopo la vittoria, le è stato consegnato “un mandato chiaro a cambiare davvero”.

Una donna giovane – è stato sottolineato molto spesso e da più parti – quasi a volere velatamente insinuare il dubbio che i suoi 38 anni possano essere una lacuna. E pensare che, alla stessa età, Emmanuel Macron è diventato Presidente della Repubblica in Francia senza che nessuno battesse ciglio. E invece proprio da questa giovane donna arriva una lezione di coraggio e determinazione: coraggio a mettersi in gioco agendo un conflitto che è inusuale in un partito dove il maschilismo ancora imperversa, dove è più facile lagnarsi, mugugnare ogni volta che i principi di equa rappresentanza vengono disattesi, dove è più agevole accomodarsi in una comfort zone che rassicuri e non crei rischi, determinazione nel perseguire un obiettivo ma senza fare sconti, senza venire a compromessi come quello di rifiutare, prima del voto, un ticket se avesse prevalso Stefano Bonaccini spiegando “perché le donne non siano condannate a essere vice di qualcuno. Io mi sono candidata anche per dire che noi possiamo essere protagoniste“.

Non ho paura. Il peggio che può succedere è che perda”; “Ti sbagli, il peggio è che tu vinca” le disse Michela Murgia quando Schlein la informò che stava pensando di candidarsi. Ecco: ora che protagonista lo è diventata, sicuramente arriva la parte più difficile del suo lavoro. Un compito per niente facile quello di non deflettere dagli obiettivi che si è prefissata e che riguardano il cambiamento di volti, metodo e visione pur tenendo insieme coloro che quel cambiamento lo hanno sempre osteggiato.

Avrà bisogno di un grande aiuto oltre che all’interno del partito: anche di quelle donne e quegli uomini che sono accorsi ai gazebo, in coda, sotto la pioggia, riponendo in lei grande fiducia e speranza. E’ la stessa Schlein che avverte “Non basto io. E’ un cambiamento che funziona soltanto se ciascuna e ciascuno di noi ci mette un pezzo di sé a generare cambiamento tutto intorno”.

E avrà bisogno di un grande aiuto da quelle femministe che ci sono sempre state, che non sono mai svanite perché “ancora una volta non ci hanno visto arrivare”. Ma noi c’eravamo, ci siamo e ci saremo.

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