Marcello Dell’Utri? “Non lo conosco”. I boss Piromalli di Gioia Tauro? “Non li conosco”. Lo ha ripetuto due volte Giuseppe Graviano che stamattina ha reso dichiarazioni spontanee nel processo “’Ndrangheta stragista” che lo vede imputato in appello con l’accusa di essere il mandante dell’attentato avvenuto il 18 gennaio 1994 sull’autostrada, nei pressi dello svincolo di Scilla, in cui morirono i carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo. Un agguato per il quale è stato condannato, in primo grado, all’ergastolo assieme al coimputato Rocco Santo Filippone, espressione della cosca Piromalli.
Il processo è agli sgoccioli e l’udienza di oggi è stata dedicata alle arringhe dei difensori del boss di Brancaccio, gli avvocati Giuseppe Aloisio e Federico Vianelli. Prima di loro, però, Graviano ha chiesto di poter intervenire davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria. Collegato in videoconferenza dal carcere di Terni, “Madre Natura” ha parlato per oltre un’ora contestato le accuse mosse dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo che martedì scorso ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado. Gran parte del suo intervento è stato sulle note intercettazioni ambientali del 2016 quando la Dda di Palermo lo ha intercettato nel penitenziario di Ascoli mentre conversava con il camorrista Umberto Adinolfi: “Dicono che io ho detto ‘Abbiamo il Paese nelle mani, l’Italia’. – sostiene Graviano – No, si stava scherzando. Si sente la parola Bolivia perché nei primi anni 80 il signor Adinolfi viveva in Bolivia, in Perù, in questi posti. Non si parlava di cose illecite ma visti i rapporti che lui aveva con il governo di quel Paese, io scherzosamente gli ho detto: ‘Avessimo la Bolivia in mano, io facevo il presidente e tu il ministro della Cultura essendo una persona acculturata’”.
Un discorso ne apre un altro, ma non tutti. L’aspetto scherzoso delle chiacchiere sulla Bolivia, secondo Graviano, spalanca la strada per spiegare la “contraddizione” con le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza: “Questo – aggiunge infatti Graviano – smentisce anche il signor Spatuzza quando dice che al bar Doney ho riferito che avevo parlato con il signor Dell’Utri che non conosco. Se io avessi conosciuto il signor Dell’Utri, lo prendevo io l’appuntamento per fare fare al signor D’Agostino il provino nel Milan. E invece D’Agostino è andato da un certo Barone”. Il riferimento è alla vicenda del provino al Milan che, per il tramite di Marcello Dell’Utri, avrebbe dovuto sostenere il figlio di Giuseppe D’Agostino. Seguendo quest’ultimo, nel gennaio 1994 i carabinieri arrestarono i fratelli Graviano a Milano. Il boss di Brancaccio, però, contesta anche la ricostruzione secondo cui il 18 marzo 2016, sempre in carcere con Adinolfi, avrebbe detto che nel 1991 si stavano preparando per “iniziare le stragi”. “Non risponde a verità” si difende Graviano che, in quell’occasione, sostiene di aver raccontato al signor Adinolfi cos’era successo a Pianosa. “Nel 1991 – sono le parole del boss davanti ai giudici – si parlava che i terroristi islamici volevano iniziare ad attaccare in Europa e tramite il signor Sinacori Vincenzo avevano cercato un aggancio per iniziare dall’Italia. Ci sono state delle persone siciliane che hanno detto: ‘Non vi permettete a fare un graffio a un italiano perché ve la faremo pagare’.
Io racconto quello che ho ascoltato a Pianosa e successivamente l’ho ascoltato anche a Novara. Cos’è successo? A me interessava fare un confronto con il signor Sinacori. Nel 2009 la Procura di Firenze, sempre per questi motivi delle dichiarazioni di Spatuzza, mi viene a interrogare e io ho detto: ‘Mi fate una cortesia? Mi fate fare un confronto con questo signor Sinacori’. È arrivato il signor Sinacori a confronto nella casa di reclusione di Opera e gli ho detto: ‘Può raccontare che lei è a conoscenza…’ e lui non ha voluto rispondere. Si è chiuso il confronto. Successivamente, però questa è una mia idea, se avessero ascoltato me invece che indagare su Spatuzza, forse le stragi che sono successe in Europa non sarebbero successe. Sto parlando di Francia, Germania e queste cose qui”.
Durante le dichiarazioni spontanee, quindi, Graviano fornisce la sua versione sulle intercettazioni in carcere con Adinolfi e nomina il fondatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri solo per dire che non lo conosce. Mai un cenno, invece, su quanto aveva affermato nella primavera del 2020 quando, nel processo di primo grado, aveva detto che “imprenditori di Milano non volevano che si fermassero le stragi”. Ma non solo: aveva invitato pure i pm a indagare sul suo arresto che gli avrebbe consentito di “scoprirete i veri mandanti” delle stragi e aveva sostenuto di essere stato in affari con Silvio Berlusconi, grazie agli investimenti compiuti dal nonno a Milano negli anni ‘70. Affari, quindi, con Silvio Berlusconi che, stando alle sue dichiarazioni del 2020, avrebbe incontrato tre volte da latitante. Omissioni e silenzi sulle quali l’ex pm di Palermo Antonio Ingroia, oggi avvocato di parte civile nel processo “’Ndrangheta stragista” si è fatto un’idea ben chiara: “Graviano ci ha abituato in questi anni al suo ondeggiamento tra il dico e il non dico. Fa passi avanti e poi dei passi indietro verso la verità. Evidentemente questa è la fase dei passi indietro. Bisognerebbe capire come mai Graviano ha deciso per ora di fare dei passi indietro.
Ritornando all’udienza di oggi, l’avvocato Federico Vianelli ha definito le accuse della Dda “un teorema, un tema senza fondamenta” costituito da “singolari coincidenze”. Secondo il legale “non vi sono elementi seri e rigorosi di prova”. Piuttosto “una sorta di cortina fumogena, affascinante se è uno è appassionato di storia, ma non per questo, per confermare un teorema, a tutti i costi dobbiamo arrivare a un giudizio di responsabilità, a una condanna in capo a Giuseppe Graviano. Se c’è questa passione investigativa venga soddisfatta, altrimenti vengano investigate altre situazioni, vengano portati a giudizio altre persone”. In sostanza, per il difensore di Graviano, il processo “è viziato all’origine”. Vizio dettato da “una spasmodica ricerca di un qualcosa che non c’è per arrivare a tutti i costi a una condanna altrimenti evitabile”. Per l’avvocato Aloisio, invece, “non si può parlare di delitto politico”. “Prima – sostiene – bisognerebbe fare un passo indietro ed accertare se i reati contestati agli odierni imputati sono stati da loro commessi e, quindi, verificare se sono loro i mandanti”. Il dito del legale è puntato sempre contro il pentito Gaspare Spatuzza le cui dichiarazioni “sono inconsistenti” e “non vengono, peraltro, riscontrate dai collaboratori Nino Lo Giudice e Consolato Villani, i quali si rivelano palesemente inattendibili. Se noi diamo credibilità a dichiarazioni di Lo Giudice siamo in pericolo tutti”.
Giustizia & Impunità
Le dichiarazioni spontanee del boss Graviano: “Non conosco né Marcello Dell’Utri né i Piromalli di Gioia Tauro”
Graviano si è rivolto ai giudici del processo "Ndrangheta stragista” che lo vede imputato in appello con l’accusa di essere il mandante dell’attentato avvenuto il 18 gennaio 1994 sull’autostrada, nei pressi dello svincolo di Scilla, in cui morirono i carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo
Marcello Dell’Utri? “Non lo conosco”. I boss Piromalli di Gioia Tauro? “Non li conosco”. Lo ha ripetuto due volte Giuseppe Graviano che stamattina ha reso dichiarazioni spontanee nel processo “’Ndrangheta stragista” che lo vede imputato in appello con l’accusa di essere il mandante dell’attentato avvenuto il 18 gennaio 1994 sull’autostrada, nei pressi dello svincolo di Scilla, in cui morirono i carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo. Un agguato per il quale è stato condannato, in primo grado, all’ergastolo assieme al coimputato Rocco Santo Filippone, espressione della cosca Piromalli.
Il processo è agli sgoccioli e l’udienza di oggi è stata dedicata alle arringhe dei difensori del boss di Brancaccio, gli avvocati Giuseppe Aloisio e Federico Vianelli. Prima di loro, però, Graviano ha chiesto di poter intervenire davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria. Collegato in videoconferenza dal carcere di Terni, “Madre Natura” ha parlato per oltre un’ora contestato le accuse mosse dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo che martedì scorso ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado. Gran parte del suo intervento è stato sulle note intercettazioni ambientali del 2016 quando la Dda di Palermo lo ha intercettato nel penitenziario di Ascoli mentre conversava con il camorrista Umberto Adinolfi: “Dicono che io ho detto ‘Abbiamo il Paese nelle mani, l’Italia’. – sostiene Graviano – No, si stava scherzando. Si sente la parola Bolivia perché nei primi anni 80 il signor Adinolfi viveva in Bolivia, in Perù, in questi posti. Non si parlava di cose illecite ma visti i rapporti che lui aveva con il governo di quel Paese, io scherzosamente gli ho detto: ‘Avessimo la Bolivia in mano, io facevo il presidente e tu il ministro della Cultura essendo una persona acculturata’”.
Un discorso ne apre un altro, ma non tutti. L’aspetto scherzoso delle chiacchiere sulla Bolivia, secondo Graviano, spalanca la strada per spiegare la “contraddizione” con le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza: “Questo – aggiunge infatti Graviano – smentisce anche il signor Spatuzza quando dice che al bar Doney ho riferito che avevo parlato con il signor Dell’Utri che non conosco. Se io avessi conosciuto il signor Dell’Utri, lo prendevo io l’appuntamento per fare fare al signor D’Agostino il provino nel Milan. E invece D’Agostino è andato da un certo Barone”. Il riferimento è alla vicenda del provino al Milan che, per il tramite di Marcello Dell’Utri, avrebbe dovuto sostenere il figlio di Giuseppe D’Agostino. Seguendo quest’ultimo, nel gennaio 1994 i carabinieri arrestarono i fratelli Graviano a Milano. Il boss di Brancaccio, però, contesta anche la ricostruzione secondo cui il 18 marzo 2016, sempre in carcere con Adinolfi, avrebbe detto che nel 1991 si stavano preparando per “iniziare le stragi”. “Non risponde a verità” si difende Graviano che, in quell’occasione, sostiene di aver raccontato al signor Adinolfi cos’era successo a Pianosa. “Nel 1991 – sono le parole del boss davanti ai giudici – si parlava che i terroristi islamici volevano iniziare ad attaccare in Europa e tramite il signor Sinacori Vincenzo avevano cercato un aggancio per iniziare dall’Italia. Ci sono state delle persone siciliane che hanno detto: ‘Non vi permettete a fare un graffio a un italiano perché ve la faremo pagare’.
Io racconto quello che ho ascoltato a Pianosa e successivamente l’ho ascoltato anche a Novara. Cos’è successo? A me interessava fare un confronto con il signor Sinacori. Nel 2009 la Procura di Firenze, sempre per questi motivi delle dichiarazioni di Spatuzza, mi viene a interrogare e io ho detto: ‘Mi fate una cortesia? Mi fate fare un confronto con questo signor Sinacori’. È arrivato il signor Sinacori a confronto nella casa di reclusione di Opera e gli ho detto: ‘Può raccontare che lei è a conoscenza…’ e lui non ha voluto rispondere. Si è chiuso il confronto. Successivamente, però questa è una mia idea, se avessero ascoltato me invece che indagare su Spatuzza, forse le stragi che sono successe in Europa non sarebbero successe. Sto parlando di Francia, Germania e queste cose qui”.
Durante le dichiarazioni spontanee, quindi, Graviano fornisce la sua versione sulle intercettazioni in carcere con Adinolfi e nomina il fondatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri solo per dire che non lo conosce. Mai un cenno, invece, su quanto aveva affermato nella primavera del 2020 quando, nel processo di primo grado, aveva detto che “imprenditori di Milano non volevano che si fermassero le stragi”. Ma non solo: aveva invitato pure i pm a indagare sul suo arresto che gli avrebbe consentito di “scoprirete i veri mandanti” delle stragi e aveva sostenuto di essere stato in affari con Silvio Berlusconi, grazie agli investimenti compiuti dal nonno a Milano negli anni ‘70. Affari, quindi, con Silvio Berlusconi che, stando alle sue dichiarazioni del 2020, avrebbe incontrato tre volte da latitante. Omissioni e silenzi sulle quali l’ex pm di Palermo Antonio Ingroia, oggi avvocato di parte civile nel processo “’Ndrangheta stragista” si è fatto un’idea ben chiara: “Graviano ci ha abituato in questi anni al suo ondeggiamento tra il dico e il non dico. Fa passi avanti e poi dei passi indietro verso la verità. Evidentemente questa è la fase dei passi indietro. Bisognerebbe capire come mai Graviano ha deciso per ora di fare dei passi indietro.
Ritornando all’udienza di oggi, l’avvocato Federico Vianelli ha definito le accuse della Dda “un teorema, un tema senza fondamenta” costituito da “singolari coincidenze”. Secondo il legale “non vi sono elementi seri e rigorosi di prova”. Piuttosto “una sorta di cortina fumogena, affascinante se è uno è appassionato di storia, ma non per questo, per confermare un teorema, a tutti i costi dobbiamo arrivare a un giudizio di responsabilità, a una condanna in capo a Giuseppe Graviano. Se c’è questa passione investigativa venga soddisfatta, altrimenti vengano investigate altre situazioni, vengano portati a giudizio altre persone”. In sostanza, per il difensore di Graviano, il processo “è viziato all’origine”. Vizio dettato da “una spasmodica ricerca di un qualcosa che non c’è per arrivare a tutti i costi a una condanna altrimenti evitabile”. Per l’avvocato Aloisio, invece, “non si può parlare di delitto politico”. “Prima – sostiene – bisognerebbe fare un passo indietro ed accertare se i reati contestati agli odierni imputati sono stati da loro commessi e, quindi, verificare se sono loro i mandanti”. Il dito del legale è puntato sempre contro il pentito Gaspare Spatuzza le cui dichiarazioni “sono inconsistenti” e “non vengono, peraltro, riscontrate dai collaboratori Nino Lo Giudice e Consolato Villani, i quali si rivelano palesemente inattendibili. Se noi diamo credibilità a dichiarazioni di Lo Giudice siamo in pericolo tutti”.
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La Consulta: inammissibile il referendum sull’Autonomia. Sì a 5 quesiti: anche quelli su Jobs Act e cittadinanza per gli extracomunitari
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Roma, 20 gen. (Adnkronos) - "Il Jobs Act è una legge che ha creato oltre un milione di posti di lavoro, più della metà a tempo indeterminato, e che ha introdotto tutele fondamentali come l’eliminazione delle dimissioni in bianco. La decisione della Corte Costituzionale che dà il via al referendum relativo al Jobs Act ci trova quindi pronti: spiegheremo ai cittadini quanto sarebbe sbagliato cancellare queste conquiste che creano posti di lavoro, sviluppo e tutele". Lo scrive sui social il senatore Enrico Borghi, capogruppo al Senato di Italia Viva.
"Quanto al referendum sull’autonomia, accettiamo il verdetto della Consulta che dopo la precedente pronuncia sulla legge Calderoli appariva pressoché scontata. Ogni modifica sull’autonomia differenziata passerà dal Parlamento, e lì ci faremo trovare pronti e determinati".
Roma, 20 gen. (Adnkronos) - "Le mie più sentite congratulazioni al presidente Trump per l’inizio del suo secondo mandato. Il popolo americano ha fatto una scelta chiara, che riflette l’impegno per la crescita economica, la sicurezza e la sovranità nazionale”. Lo scrive su X il Co-Presidente del gruppo dei conservatori al Parlamento europeo, Nicola Procaccini dí Fratelli d’Italia.
“Noi dell'Ecr condividiamo molte delle priorità delineate dal presidente Trump: contrastare l'immigrazione clandestina, garantire comunità più sicure, tagliare le tasse e la burocrazia e ripristinare la competitività economica. Queste non sono solo priorità americane, ma anche europee”.
Roma, 20 gen. (Adnkronos) - "La Sardegna, con il nostro ricorso accolto dalla Corte lo scorso novembre, ha difeso la sua specialità e contrastato una legge iniqua. Una legge che la Corte stessa, ascoltando le preoccupazioni delle Regioni promotrici, ha già demolito e svuotato perché ci toglieva risorse e ci condannava a restare indietro. Se il capogruppo della Lega Veneta ha dichiarato recentemente che il Veneto vale più della Sardegna, per farci capire cosa si intende per differenziata, noi invece continueremo a difendere con le unghie e con i denti le risorse e le opportunità che le spettano”. Così la presidente della Regione Sardegna Alessandra Todde.
Roma, 20 gen. (Adnkronos) - “Sul referendum sulla cittadinanza daremo battaglia nel nome dell’estensione dei diritti e per superare una legislazione particolarmente arretrata. Si tratta di un referendum promosso da un vasto arco di soggetti, tra cui numerose associazioni dei nuovi cittadini, persone a cui per troppo tempo è stata tolta la voce. Lotteremo al loro fianco”. Così in una nota Pierfrancesco Majorino della segreteria del Partito Democratico, responsabile Immigrazione.
Washington, 20 gen (Adnkronos) - Non è stato un blitz come quello di Mar a lago, rivelatosi determinante per la liberazione di Cecilia Sala, ma una intera giornata quella che Giorgia Meloni ha dedicato, per la seconda volta in un mese, a Donald Trump. La premier non è voluta mancare all'inauguration day del presidente americano, sottolineando quanto sia importante "dare una testimonianza della volontà di continuare e rafforzare" la relazione Italia-Usa.
E questa "testimonianza" la premier l'ha data plasticamente già di primo mattino, quando insieme alla famiglia Trump, a quella del vice presidente Vance e pochi altri, ha preso parte alla messa di 'benedizione' del neo commander in chief alla chiesa episcopale di st John, proprio di fronte alla Casa Bianca. Poi il trasferimento alla Rotonda del Campidoglio, a Capitol hill, per il giuramento spostato al chiuso a causa dell'ondata di gelo che ha stretto Washington. Con lei, oltre ai diplomatici, la fida Patrizia Scurti in delegazione.
Meloni siede sotto lo sguardo della statua di Abramo Lincoln, nei posti riservati ai capi di Stato e di governo invitati da Trump. Una sparuta elite che comprende la presidente del Consiglio (unica leader Ue) e, tra i pochi altri, il presidente argentino Javier Milei, con cui Meloni chiacchiera a lungo inquadrati più volte dalle telecamere di Fox news, che non ha perso una battuta della giornata-evento.
(Adnkronos) - A pochi passi, i 'big tech Ceo' che Trump ha voluto come ospiti vip della cerimonia e che l'hanno sostenuto nel suo cammino di ritorno alla sala ovale: Tim Cook, Jeff Bezos, Sandor Picahi, Sam Altman, Mark Zuckenberg e ovviamente Elon Musk. Sui social, è il capo delegazione di FdI-Ecr all'Europarlamento Carlo Fidanza, a Washington con un piccola pattuglia di parlamentari italiani ospiti dei Repubblicani Usa, a dare il senso politico della 'foto di Capitol hill' della Meloni: "La nostra presidente è ormai riconosciuta da tutti come l’interlocutrice privilegiata di Trump in Europa".
Nella sua valutazione del Trump day, Meloni al mattino è più ecumenica: "Penso sia molto, molto importante per una nazione come l’Italia che ha rapporti estremamente solidi con gli Stati Uniti dare una testimonianza della volontà di continuare e se mai rafforzare quella relazione in un tempo nel quale le sfide sono globali e interconnesse", spiega prima di lasciare l'albergo.
Più tardi su X augura buon lavoro a Trump e assicura: "Sono certa che l’amicizia tra le nostre Nazioni e i valori che ci uniscono continueranno a rafforzare la collaborazione tra Italia e Usa", per poi sottolineare: "L’Italia sarà sempre impegnata nel consolidare il dialogo tra Stati Uniti ed Europa, quale pilastro essenziale per la stabilità e la crescita delle nostre comunità".
(Adnkronos) - Per il ministro dell'Ue Tommaso Foti, la missione di Meloni a Washington "conferma il ruolo cruciale che, nel prossimo futuro, la nostra Nazione intende giocare nelle relazioni transatlantiche, ponendosi come ponte strategico tra Europa e America".
In questo contesto, e anche per il rigido protocollo che governa l'insediamento del presidente americano, si stempera anche l'attesa per un faccia a faccia Meloni-Trump, prima auspicato e poi annunciato alla vigilia anche da Fidanza. "Non era previsto, non era il contesto e non ci sarà problema a farlo in futuro", è il senso del ragionamento dell'entourage della premier. Così, direttamente lasciando ad un certo punto le lunghe celebrazioni, Meloni può salutare e tornare subito in Italia.
Roma, 20 gen. (Adnkronos) - "La decisione della Consulta che ha sancito l’ inammissibilità del referendum abrogativo sull’autonomia conferma che la riforma scritta dal ministro Calderoli è, come sapevamo, coerente e corretta nel rispetto delle previsioni costituzionali. Per cui avanti con l’iter della riforma e con i negoziati con le regioni che hanno già richiesto le prime materie ‘non Lep’, come la Lombardia. Avanti tutta con l’autonomia!”. Lo dichiara il segretario regionale della Lega Lombarda Salvini Premier e presidente dei senatori della Lega Salvini Premier, senatore Massimiliano Romeo.
Roma, 20 gen. (Adnkronos) - "La Corte Costituzionale, dichiarando inammissibile il referendum sull’autonomia, perché ‘l’oggetto e la finalità del quesito sono poco chiari’, ha bocciato l’opposizione. D’altra parte, cosa ci si può aspettare da una sinistra incapace anche di scrivere i quesiti da sottoporre ai cittadini per una consultazione popolare? Per quanto ci riguarda, noi andiamo avanti con il percorso riformatore, nell’interesse dell’Italia”. Così la senatrice di Forza Italia e vice presidente del Senato, Licia Ronzulli.