A un anno dallo scoppio della guerra in Ucraina le spedizioni mensili di greggio statunitense verso l’Europa sono aumentate del 38%, secondo la società di analisi di dati Kpler. Mentre nel 2021 l’Italia aveva comprato 50,4 milioni di barili di greggio e prodotti raffinati dagli Stati Uniti, l’anno scorso gli acquisti sono saliti a 67,8 milioni
Le sanzioni occidentali contro la Russia avevano l’obiettivo di prosciugare le entrate del Cremlino derivanti dall’esportazione di idrocarburi. Hanno avuto, però, anche un altro effetto: ingrassare i conti delle compagnie petrolifere americane. A un anno dallo scoppio della guerra in Ucraina, infatti, le spedizioni mensili di greggio statunitense verso l’Europa sono aumentate del 38%, secondo la società di analisi di dati Kpler. Mentre nel 2021 l’Italia aveva comprato 50,4 milioni di barili di greggio e prodotti raffinati dagli Stati Uniti, l’anno scorso gli acquisti sono saliti a 67,8 milioni. La Spagna, invece, ha incrementato le importazioni di ben l’88%. Insomma, un fiume di petrolio si è riversato sui paesi europei andando a sostituire quello proveniente da Mosca. E, con l’entrata in vigore dell’embargo sul greggio russo il 5 dicembre scorso e di quello su gasolio e benzina il 5 febbraio, è probabile che questo fiume si ingrossi ancora di più.
Non a caso l’Eia, l’agenzia statistica del Dipartimento dell’Energia Usa, prevede che la produzione statunitense, che ha toccato il record di 11,9 milioni di barili al giorno nel 2022, continuerà a crescere anche quest’anno e il prossimo. Come riporta il Wall Street Journal, le spedizioni di greggio verso l’Italia sono passate in un anno da 136mila barili al giorno a 180mila, quelle verso la Francia da 114mila a 152mila. Nel complesso, in Europa arrivano dagli Usa 1,52 milioni di barili di petrolio al giorno contro gli 1,17 milioni del gennaio 2019. “L’America è tornata nella posizione più predominante che ha avuto nell’energia mondiale dagli anni ’50” ha dichiarato il vicepresidente di S&P Global, Daniel Yergin. “L’energia degli Stati Uniti ora sta diventando uno dei fondamenti della sicurezza energetica europea”. E questo grazie anche alla tecnica, stigmatizzata dalle associazioni ecologiste per il suo impatto sull’ambiente, del fracking, con cui è stata aumentata la resa dei pozzi.
L’incremento della produzione americana è visibile nei dati sulle esportazioni. A partire dal 2015, quando Washington ha allentato i vincoli sulla vendita all’estero di petrolio, l’export di greggio è più che decuplicato, raggiungendo il record di 5,1 milioni di barili al giorno a ottobre 2022. L’incremento della produzione domestica, inoltre, ha consentito alle società statunitensi di beneficiare di un vantaggio di prezzo rispetto alle più elevate quotazioni europee, spinte dalla riduzione delle estrazioni, in atto da anni, nel Mare del Nord. Se prima della guerra il West Texas Intermediate, l’indice di riferimento Usa, trattava a sconto sul Brent di 3-4 dollari, uno scarto sufficiente a coprire i costi di trasporto verso l’Europa, nel corso del 2022 il divario ha toccato anche punte di 10 dollari al barile. Ma non c’è solo il petrolio a ingrassare i bilanci delle compagnie americane.
Anche le esportazioni di gas naturale liquefatto (Gnl) sono cresciute nell’ultimo anno. Seppure i volumi siano più ridotti, le spedizioni verso i Paesi europei sono raddoppiate. Stando ai dati Eia, nel 2022 l’Italia ha acquistato 116miliardi di piedi cubi (circa 3,3 miliardi di metri cubi, su un totale di 72,4 miliardi importati) di metano liquido Usa, contro i 34miliardi di tutto il 2021. La Francia, invece, è passata da 170,8 miliardi di piedi cubi a 571,4 miliardi (oltre 16 miliardi di metri cubi) e la Spagna da 215 a 426,6 miliardi. Insomma, Washington ha inondato l’Europa anche di gas, gran parte del quale (circa l’87%) è estratto con il metodo, molto inquinante, della fratturazione idraulica (shale e tight gas), con cui si iniettano nel terreno enormi quantitativi di acqua e solventi chimici. A dispetto delle preoccupazioni ambientali, le compagnie dell’Oil&gas statunitensi, favorite anche da un costo del denaro molto basso, hanno investito molto negli ultimi anni per incrementare la propria produzione. E l’anno scorso, anche grazie ai prezzi di gas e petrolio spinti alle stelle dalla crisi energetica, hanno fatto affari d’oro. Un caso su tutti: nel 2022 la società petrolifera (e del gas) Chevron ha riportato profitti per 36,5 miliardi di dollari, più del doppio rispetto all’anno prima. Denaro che è finito soprattutto nelle tasche degli azionisti. A fronte di investimenti per 15,7 miliardi di dollari, tra buy-back (acquisti di azioni proprie) e dividendi, Chevron ha distribuito 26 miliardi di dollari ai suoi azionisti. Per quest’anno la società ha già previsto di spendere in operazioni di buy-back 17,5 miliardi.