Intesa Sanpaolo, la prima banca italiana, va per conto suo. Continuerà a far parte dell’Associazione bancaria italiana (Abi) ma i contratti con i lavoratori se li farà da sola. Un mossa meno drastica ma che ricorda un po’ uscita di Fiat da Confindustria decisa da Sergio Marchionne nel 2012. Intesa Sanpaolo ha revocato la delega all’associazione ad essere rappresentate e la decisione avviene mentre l’Abi sta trattando con i sindacati per il rinnovo del contratto nazionale, scaduto a dicembre e prorogato fino a fine aprile. La banca guidata da Carlo Messina continuerà però a partecipare – su invito permanente concordato con Abi – alle future attività del Comitato sindacale e del lavoro volte a preparare e a negoziare il rinnovo del Contatto collettivo del settore bancario. Intesa Sanpaolo, che nel 202o ha rilevato Ubi, conta in Italia 82mila dipendenti circa.
“Intesa Sanpaolo – spiega un portavoce della banca – proseguirà nel dialogo con le organizzazioni sindacali nel pieno rispetto dei reciproci ruoli, come sempre avvenuto, continuando a ritenere le relazioni industriali elemento essenziale nel raggiungimento degli obiettivi del gruppo, nell’interesse delle nostre persone e della banca”. Intesa Sanpaolo – afferma la stessa fonte – conferma la centralità del contributo delle persone del gruppo; la piena garanzia dei diritti individuali e collettivi sarà assicurata, nel tempo, nell’ambito della contrattazione collettiva discendente dal confronto con le organizzazioni sindacali nazionali ed aziendali, per fornire il supporto più adeguato al nostro modello organizzativo e al ruolo ricoperto da Intesa Sanpaolo nel nostro Paese”.
“Dal nostro punto di vista il contratto nazionale e gli assetti contrattuali ivi definiti restano centrali”, afferma Giovanni Sabatini. “L’associazione – spiega in una nota – si occupa della definizione del contratto collettivo nazionale di lavoro. Ci sono poi le prospettive e le scelte di business delle singole aziende e su queste naturalmente non entriamo”. Lo scorso dicembre Intesa Sanpaolo ha annunciato, per i propri dipendenti alcune iniziative come la settimana corta di 4 giorni, lo smart working fino a 120 giorni l’anno senza un preventivo accordo con i sindacati. Nei mesi precedenti aveva anche disposto delle erogazioni una tantum ai propri dipendenti per supplire ai rincari dell’inflazione e dell’energia. Decisioni che avevano provocato malumori in alcune sigle sindacali che avevano lamentato che in questo modo si perdeva la centralità del contratto nazionale.