di Carmelo Zaccaria
Se vogliamo che i nostri bambini diventino adulti sani e felici, sostiene Victoria Prooday, educatrice e studiosa dell’infanzia, dobbiamo tornare ai fondamentali. E’ noto infatti come siano in aumento i disagi psicologici nei bambini, come stati d’ansia e disturbi dell’umore.
Ma poi cosa significa veramente tornare ai fondamentali? Ancora in un recente passato il percorso formativo non somigliava precisamente ad un esercizio idilliaco, anzi era accompagnato spesso da sonori schiaffoni e punizioni corporali. Tuttavia il bambino, oltre alla famiglia, poteva contare su un cordone affettivo allargato i cui valori, solidi e inalienabili, lo avvolgevano e ne delineavano la personalità, ne forgiavano il carattere. I bimbi non si sentivano mai soli, potevano ascoltare i racconti dei grandi o la lettura di qualche fiaba davanti al focolare.
Proprio le fiabe potrebbero essere considerate uno di quei fondamentali andati persi, se non fossero state ampiamente soppiantate dal maneggio quotidiano di congegni tecnologici. E questo nonostante ci sia una significativa differenza tra il loro mondo luminoso ed il mondo opaco, sbrigativo, della rete. Tuttavia, sin dalla tenera età i bambini mostrano una abilità insospettata nell’uso della tecnologia, mentre hanno difficoltà a comprendere i significati di una storia che invece richiede attenzione, impegno. Così facendo si prestano, involontariamente, a subire l’offerta digitale, nutrendosi della sua natura fallace, subdolamente nociva, che oscura i problemi reali dell’esistenza.
Nella fiaba “Le tre piume” dei Fratelli Grimm si racconta di un anziano Re che deve decidere a quale dei tre figli lasciare il Regno. Per questo li sottopone ad una prova: chi mi porterà il più bel tappeto sarà il mio erede. I due figli più grandi, considerati da tutti svegli e intelligenti, giudicando l’altro fratello poco sveglio, decidono di non perdere molto tempo nella ricerca di un tappeto decente sottraendo dalla spalla di una pecoraia un mantello sporco e lacerato. Il terzo figlio invece inseguendo la sua piuma trova solo una piccola botola per terra. Decide di aprirla e ne discende le scale. All’improvviso si trova di fronte ad un rospo gigantesco a cui chiede di aiutarlo. Il rospo non ci mette molto a procurargli uno splendido tappeto. A quel punto il Re gli assegna il Regno. Gli altri due fratelli, disperati, non si danno pace e supplicano il Re di sottoporli ad un’altra prova. Allora il Re chiede che gli sia portato l’anello più bello. Come l’altra volta i due fratelli più scaltri non ci pensano molto, scippano da un timone arrugginito un anello e lo portarono al Re, mentre il figlio più piccolo si presenta di nuovo dal rospo che gli consegna seduta stante un anello bellissimo, degno del miglior orafo del pianeta. Di nuovo i figli maggiori piagnucolando chiedono un’altra prova che il Re concede, chiedendo ai tre figli di portargli la donna più bella. Anche questa volta, mentre i due fratelli più grandi si fermano a raccattare le prime due contadinotte del luogo, il figlio minore si precipita dal rospo che gli procura una donna bellissima. Di fronte a questa ulteriore eccellente riprova il Re lo proclama erede del Regno.
Il figlio minore usa l’arma della riflessione, scandaglia nel profondo, si cala con coraggio nella botola come se volesse ricercare dentro se stesso la soluzione del problema. Trionfa scegliendo la strada migliore, la più giusta. Pur di riuscire nell’impresa chiede aiuto ad un rospo, un animale goffo e orrendo, accetta cioè di sporcarsi le mani, di mettersi in gioco. Diversamente si coglie il comportamento superficiale, frettoloso, dei suoi fratelli, che simbolicamente rimanda al mondo virtuale, approssimativo del web che non abitua a ragionare con la propria testa, a confrontarsi con la cruda realtà. Avrebbero dovuto far tesoro dell’esperienza, ma non ci riescono, non sono più abituati. Hanno sempre navigato in superficie, come accade in rete, per questo ripetono sempre lo stesso errore.