Se il Partito Democratico, e in generale il fronte progressista, vuole essere ascoltato dalla gente e tornare a essere competitivo deve cambiare registro. Uno scossone l’hanno dato gli elettori dei gazebi votando a sorpresa la nuova segretaria, Elly Schlein. Ma forse una scossa ancor più grande l’ha data il clamoroso astensionismo alle recenti elezioni regionali che ha incoronato la destra.

In una prospettiva di reale cambiamento un buon punto di partenza potrebbe essere tornare all’antico, cioè all’idea di ripartire dal mondo della scuola, dei docenti e del personale scolastico. La scuola, a dispetto del titolo del libro di un esponente di punta della visione neoliberista, non è stata “bloccata”; piuttosto è stata colpevolmente dimenticata. Nonostante i fiumi di parole sulla sua centralità nella società della conoscenza è scomparsa dall’agenda degli ultimi governi, come tutto il pubblico impiego, peraltro. Per ripartire però bisogna avere una bussola che orienti nella direzione giusta e questa non può che essere una netta cesura con il passato.

La nuova Segretaria del Partito Democratico deve fare pubblica ammenda e riconoscere che il progetto neoliberista di Matteo Renzi è stato un clamoroso errore che non si deve ripetere, una forzatura tecnocratica totalmente estranea a una visione moderna, progressista e democratica della formazione scolastica. La scuola non è il luogo di produzione del capitale umano, delle conoscenze buone solo per l’industria e a essa subordinate, come ripete instancabilmente un mantra liberista ben finanziato. E nemmeno deve essere organizzata nella forma gerarchica dell’impresa con a capo il Dirigente Scolastico nella veste di titolare, che assume, licenzia e organizza a suo piacimento l’attività scolastica. Il progetto conservatore e anacronistico della Buona Scuola è stato rottamato, prima ancora di partire, dagli insegnanti in quanto estraneo, non solo alla sinistra, ma al mondo scolastico in quanto tale.

La Buona Scuola è stata per la scuola quello che il Jobs Act è stato per il mercato del lavoro; un qualcosa di destra realizzato da una sinistra suicida e smarrita, in cerca di chissà quale legittimazione istituzionale. Naufragata la Buona Scuola renziana, il Partito Democratico ha cominciare a fluttuare nel vuoto, quasi vergognandosi delle sue radici progressiste. Poi è arrivato il Pnrr che richiedeva un qualche intervento sul piano del riconoscimento della professionalità dei docenti. L’Europa a questo aspetto ci tiene molto. E allora ecco il ministro, Patrizio Bianchi, ancora la croce sulle spalle del Pd inventarsi un’autentica insulsaggine, cioè la figura del docente esperto; quel docente professionalmente preparato che nel 2033 avrebbe ricevuto un sostanzioso aumento di stipendio.

Privilegio riservato peraltro solo a 8mila docenti su 800mila. Mentre la politica, e più colpevolmente il fronte progressista, abbandonava la scuola, cresceva a dismisura il suo precariato. Oggettivamente la condizione scolastica è andata degradandosi, ministro dopo ministro. Oggi siamo tornati alla situazione di fine anni Settanta, con il 25% dei docenti precari. Di chi è la colpa di questo disastro annunciato? Sicuramente non dei docenti, ma di una classe politica che non crede più nella scuola.

In definitiva, a sinistra la via di una possibile ripartenza è semplice: dimenticare il renzismo conservatore e la soluzione fantasiosa del ministro Bianchi, ora ripresa in termini molto simili da Giuseppe Valditara con il suo docente formatore, di premiare pochissimi e magari fedelissimi. La nuova leader del Pd deve aver il coraggio, anche finanziario, di affrontare i problemi della scuola, a partire da una nuova condizione professionale dei docenti e del personale scolastico. Ma non solo. La scuola ha di fronte delle potenti sfide, come sempre peraltro: l’innalzamento effettivo dell’obbligo scolastico, la verifica della qualità dell’insegnamento, la riforma dei curricula e molte altre ancora.

Su questi temi serve una riflessione ampia e ragionata che alla destra, Valditara insegna, non interessa. Ma certo la discussione non può essere sempre ingabbiata nell’invarianza finanziaria, cioè portata avanti senza mettere a disposizione le risorse adeguate. E nemmeno si può sempre girare intorno alla questione centrale della condizione professionale dei docenti sviando su tematiche secondarie, seppure importanti. L’edilizia scolastica è importante, ma non decisiva. I computer a scuola sono importanti, ma non decisivi. Una scuola inclusiva è importante, ma non è questo il suo scopo principale.

Al centro della scuola ci sono i docenti e il personale scolastico alla ricerca da tempo di una vera e nuova identità. Su questo aspetto il vecchio Pd, la linea Letta-Renzi-Gentiloni, ha miseramente fallito inseguendo per ragioni scarsamente comprensibili le chimere della destra liberista mettendosi così contro l’intera classe docente, soprattutto quella di sinistra. Vedremo se il nuovo Pd targato Schlein avrà la forza di rinnovarsi, cioè di tornare all’antico per una scuola realmente democratica e di qualità come richiede la società attuale, prima che la fantomatica economia della conoscenza.

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