L’appetito vien mangiando. E così, dopo l’abbuffata di profitti del 2022, circa 200 miliardi di dollari solo per le prime 5 compagnie al mondo, di staccarsi da petrolio e gas le big del petrolio non ne vogliono più sapere. Non che prima ci avessero mai speso troppo tempo e soprattutto denaro, ma ora, a dispetto rivendicano in modo quasi sfacciato questa linea. L’ultimo segnale in tal senso sono le dichiarazioni di Wael Sawan, nuovo numero uno della britannica Shell, prima compagnia petrolifera privata al mondo, secondo cui ridurre la produzione di petrolio e gas sarebbe dannoso per i consumatori. “Sono fermamente convinto che il mondo avrà bisogno di petrolio e gas ancora per molto tempo, ridurre ora la produzione sarebbe quindi controproducente”. Shell, che ha chiuso il 2022 con guadagni per 40 miliardi di dollari, ha già annunciato l’intenzione di bloccare l’aumento delle risorse da dedicare alle rinnovabili.
La concorrente British Petroleum, dopo profitti per 28 miliardi, ha affermato che rallenterà il suo allontanamento da petrolio e gas. Con queste quotazioni e con la prospettiva di un permanere di fattori di tensione sui mercati, petrolio, gas e carbone sono tornate ad essere galline dalle uova d’oro. Gli azionisti festeggiano, l’ambiente un po’ meno. Ieri l’Agenzia internazionale dell’energia (espressione dell’Ocse e non ostile all’industria petrolifera) ha fatto sapere che nel 2022 le emissioni di Co2 hanno raggiunto un nuovo picco storico, salendo dello 0,9% a 36,8 miliardi di tonnellate di anidride carbonica. Le posizioni dei due colossi inglesi le avvicinano a quelle dei concorrenti statunitensi. A fronte dei 75 miliardi di dollari che distribuirà ai suoi azionisti, Chevron pianifica ad esempio investimenti in progetti a bassa emissione di carbonio per appena 2 miliardi di dollari. Exxon (56 miliardi di profitti) è da sempre molto restia ad adottare una reale strategia di riduzione delle emissioni. Questo sebbene, secondo quanto rivelato di recente, gli scienziati della compagnia avessero correttamente previsto sin dagli anni ’70 le ricadute delle emissioni di Co2 sull’aumento della temperatura globale. A dispetto di miliardi in incentivi pubblici messi a disposizione delle aziende dagli stati, la transizione, per ora, è più nera che verde.