Wild Hearts è un action rpg nel quale si dà la caccia a mostri giganti, i Kemono, per ottenerne dei pezzi in modo da costruirsi armi e armature sempre più potenti. Fin qui nulla di strano, ma la descrizione di un gioco del genere è molto meno scontata di quanto si possa immaginare. Mettersi contro un pilastro di un genere videoludico non è mai cosa facile, quando poi il pilastro ha un nome altisonante come “Monster Hunter” ancora meno.
Koei Tecmo e Omega Force hanno accettato la sfida per costruire un prodotto EA Originals che vada oltre il più grande pericolo nel proporre un titolo del genere: essere una copia scialba di colui che è seduto sul trono da ormai davvero tanti anni. Lo spoiler principale, a nostro avviso, è che ce l’hanno fatta, nonostante gli evidenti problemi dei quali parleremo nelle successive righe, insieme ai molti pregi, ma se le cose proseguiranno (e ce lo auguriamo), Wild Hearts vs Monster Hunter sarà una gustosa sfida come non se ne vedevano da FIFA vs PES, ovviamente tenendo in considerazione la mole di pubblico che i rispettivi generi si portano dietro.
Il sistema di build, armi ed equip
Prima di parlare di farming, rng, mostri, ma soprattutto dei Karakuri, è giusto dare uno sguardo ai mezzi a disposizione per affrontare il tutto: armi e armature. Wild Hearts permette al giocatore di scegliere tra otto armi, molte meno rispetto alle quattordici di Monster Hunter, ma con un’attenzione molto particolare alla loro personalizzazione.
Aprendo infatti l’arma usata alla forgia per potenziarla ci si trova davanti a un gigantesco albero di evoluzione pieno di connessioni e sta al cacciatore scegliere i rami più adatti alle proprie esigenze, anche seguendo, a volte, strade parecchio tortuose. Ogni punto del ramo contiene un’evoluzione che ha sia abilità fisse che trasferibili e continuando a farmare i giusti pezzi si può forgiare la propria arma senza i compromessi imposti dal sistema di Monster Hunter che presenta ramificazioni decisamente più separate tra loro.
Si parla di strade tortuose perché, una volta raggiunti un bivio, si potrebbe trovare un’abilità trasferibile interessante su un’arma che però è più indietro nell’albero rispetto a quella si sta utilizzando in quel momento, quindi il giocatore si potrebbe ritrovare a dover rinunciare a qualche punto di danno per accaparrarsi l’abilità trasferibile e tornare a scendere verso armi più potenti, ma portandosi dietro la skill voluta.
Le armature sono invece più nelle corde dell’avversario, con set ben differenziati a seconda del Kemono che “impersonano”, ma anche qui si trova subito una differenza sostanziale: i sentieri. Oltre alla difesa, la maggior parte dei pezzi di un’armatura presenta delle abilità legate a uno dei due allineamenti che saranno disattivate se l’allineamento del personaggio non è dalla “parte giusta del karma”, per così dire. All’inizio può sembrare limitante perché molti pezzi sono provvisiti di un valore intrinseco che sposta l’indicatore verso l’una o l’altra direzione, ma anche qui entra in gioco una buona personalizzazione grazie al fatto che, con qualche pezzo in più, si può potenziare l’equipaggiamento verso l’allineamento desiderato. Anche parecchie armi sono condizionate da questa meccanica quindi tocca sempre studiare a priori il percorso da intraprendere una volta padroneggiata l’utilità di determinate skill rispetto ad altre.
I Karakuri
È arrivato il momento di spendere qualche parola su quello che probabilmente è il fiore all’occhiello di Wild Hearts: i Karakuri. I karakuri sono costrutti che il giocatore può utilizzare all’interno delle aree di gioco, alcuni saranno presenti già dall’inizio, altri saranno sbloccabili tramite i punti ottenibili con le cacce. Sono di tre tipi: rapidi, combinati e karakuri del drago e conviene approfondirli perché sono sicuramente la meccanica sul quale si base l’intero titolo.
I karakuri rapidi sono sei (pedana a molla, corda arpionata, cassa, torcia, aliante e ancora celeste) e spendendo filo, raccoglibile nelle aree di gioco, si possono posizionare a terra per ottenere vari effetti interagendoci: la torcia infiammerà le armi, la cassa permetterà di arrampicarsi per eseguire un attacco in salto e via discorrendo. Ognuna delle armi otterrà svariati benefici dall’uso proprio dei Karakuri base, ma non è finita qui. Ogni Karakuri base potrà essere impilato fino a tre componenti e affiancando due torri da 3 nel giusto ordine si otterrà un Karakuri combinato che sarà vitale per avere un vantaggio strategico durante le cacce. Impilando fianco a fianco due torri da tre casse, ad esempio, si otterrà un vero e proprio muro da usare come base per un attacco in salto o per proteggersi dalle cariche dei mostri più deboli fino ad arrivare a veri e propri cannoni impilando due colonne affiancate di ancora celeste, torcia, ancora celeste.
È una meccanica interessantissima e ben sviluppata, ma presenta sicuramente qualche inciampo da sistemare: non è così raro impilare 4 o 5 Karakuri base per vedere poi il sesto non connettere a causa di uno spostamento di qualche millimetro dal punto di costruzione o del button delay che porta a sbagliare un frammento della stessa, vedendo così il prezioso filo sprecato nell’erezione di un’inutile ammucchiata di Karakuri base senza scopo.
I costrutti non sono certamente utilizzabili solo in combattimento, ma serviranno anche per raggiungere posti elevati o spostarsi rapidamente, ma c’è sicuramente qualcosa di più funzionale di una semplice pedana a molla: i Karakuri del drago.
Le mappe sono disseminate di punti d’interesse che, una volta attivati tramite pietre recuperabili in varie zone delle stesse, riempiranno le barre di risorse a disposizione per la costruzione di tende, zipline, punti di raccolta automatica delle risorse e così via. Il vantaggio sostanziale rispetto ai normali Karakuri è che quelli del drago sono permanenti e potranno essere disseminati per il territorio in modo da averli sempre a disposizione per un’esplorazione rapida della mappa.
La caccia è aperta
Come si può facilmente intuire dalla possibilità di utilizzare i Karakuri per costruire pedane di spostamento rapido e trappole, il combattimento di Wild Hearts è frenetico, quasi interamente basato sulla mobilità e questo porta per forza di cose a un deciso sbilanciamento delle armi. Durante le decine di ore di gioco è evidente che determinate armi basate sugli spostamenti come arco, spada uncinata e katana, sono decisamente più frequenti da incontrare rispetto a quelle un po’ più stazionarie come cannone, martello o spadone, fino ad arrivare al Wagasa, l’ombrello corazzato, l’arma da tank per eccellenza del titolo che personalmente non ho mai visto utilizzare nell’ormai un centinaio di cacce cooperative alle quali ho preso parte.
Quello delle armi è uno squilibrio che si può ritrovare anche proprio nei Kemono che il giocatore andrà ad affrontare. Wild Hearts non segue propriamente una curva di difficoltà ascendente ben equilibrata, ma ci si ritrova davanti a un’esperienza parecchio altanelante, soprattutto nel gioco in solitaria. In cooperativo da tre, il massimo permesso, le cose si fanno più facili, a volte anche troppo, nonostante sia presente uno scaling della vita dei mostri come in Monster Hunter, ma fortunatamente non così esagerato da rendere le cacce troppo lunghe (cosa che spesso, nel titolo Capcom, succede a causa dei punti vita insensati donati all’avversario). Al di là degli sbilanciamenti tra i Kemono e delle stellette di difficoltà attribuitegli in modo un po’ bugiardo, i “coprotagonisti” del titolo hanno ricevuto un design e una caratterizzazione davvero spettacolari. Gli elementi naturali e animaleschi sono fusi in chimere con dei modelli davvero convincenti, peccato solo che non siano così tanti e alcuni, anche con nomi diversi, si differenzino semplicemente tra loro da un recoloring o un leggerissimo restyling a seconda dell’elemento che vanno a incarnare.
Wild Hearts ci ha stupiti al punto da non farlo sembrare il primo esperimento della casa di sviluppo: prende tutto quello che non va in Monster Hunter e cerca di smussarne gli angoli rendendo il genere un po’ più accessibile, quasi più arcade ci azzarderemmo a dire. È privo di problemi a parte il bilanciamento? Assolutamente no, anzi, alcuni difetti sono davvero gravi e, fino a eventuali patch, rischiano di rendere l’esperienza meno soddisfacente: stiamo parlando di telecamere e ottimizzazione.
La nostra esperienza è stata su Xbox Serie X e fortunatamente non è stata minata da tutti quegli evidenti problemi grafici e di frame rate che sperimentano i giocatori su PC, ma i difetti sono ancora abbastanza evidenti anche su console, ma fortunatamente si sta già ponendo rimedio con varie patch. Per ora la telecamera resta il problema che più incide durante una caccia: quando ci si ritrova spalle al muro o nel mezzo di svariati elementi naturali come macerie o radici, arrivano tutti i difetti che possono affliggere un open world. È vero che si può fare lock on sul mostro, ma è anche vero che in un gioco pieno di elementi naturali e basato quasi interamente sulle schivate, non vedere cosa c’è intorno al proprio personaggio porta a morte certa.
Certo, la realizzazione grafica avrebbe potuto essere migliore vista la combinazione next gen/PC/fascia di prezzo, ma oltre a questo e le telecamere, che comunque restano problematiche importanti, non abbiamo riscontrato altri difetti che vadano a inficiare il divertimento che offre Wild Hearts. Il re ha forse trovato finalmente un degno avversario.