La sommatoria degli eventi potrebbe produrre una miscela esplosiva: un nuovo, l’ennesimo, credit crunch per le imprese. In altri termini una chiusura dei rubinetti, già di per sé ricchi di calcare da oltre dieci anni, per la erogazione di nuovo credito e con rientro dalle esposizioni rischiose.

Il rischio di una ciclica stretta creditizia è dietro l’angolo. L’ultimo segnale arriva dalla vigilanza della Bce che, dopo alcune ispezioni nelle banche significant (quelle di maggiori dimensioni direttamente controllate), ha “consigliato”, in via riservata, di rivedere i propri sistemi di rating interni, forse troppo buonisti per il periodo che stiamo vivendo e che dovremo trascorrere. E se è vero che le banche signifcant fanno benchmark, allora l’allarme potrebbe diventare di carattere generale.

Ricordiamo che il rating creditizio è un “giudizio sintetico sulla rischiosità del cliente” ed è la risposta numerica alle seguenti domande:

1. Qual è la probabilità che il cliente diventi insolvente nell’arco di un anno (probabilità di default)?

2. Se ciò accade, quanta parte del capitale prestato sarà possibile recuperare (perdita attesa)?

Gli accordi interbancari di Basilea stabiliscono di “valutare” le aziende tenendo conto sostanzialmente di tre parametri:

1. I “numeri” attuali e prospettici che esprime l’azienda (bilancio e business plan);

2. Il cosiddetto “andamentale bancario”, ossia: “Come si comporta l’azienda con le banche? E’ regolare nei pagamenti? Oltrepassa mai il limite di fido? I suoi clienti la pagano regolarmente?”;

3. Gli aspetti qualitativi, cioè informazioni di natura qualitativa, come qualità della governance, settore di appartenenza, mercato di operatività, previsioni economico-finanziarie di settore. In particolare si tiene conto di fatti pregiudizievoli (pignoramenti; ipoteche legali e giudiziarie; azioni giudiziarie e condanne, anche nei confronti di singoli soci e/o fideiussori), “informazioni di piazza”; rating di legalità, adozione del modello organizzativo ex legge 231/2001.

Sulla base di questi tre parametri, inseriti in un algoritmo, esce fuori un “voto” per l’azienda, il rating che, così come a scuola, varia su una scala che va da 1 (il voto migliore) a 10 (il voto peggiore) e che esprime “la probabilità di default”, cioè la probabilità (il rischio) che nei prossimi 3-5 anni l’azienda non possa più restituire una determinata quantità (perdita attesa) di soldi alla banca!

In considerazione di questi parametri, la Bce stabilisce poi, per ogni singola banca, i requisiti minimi di capitale di vigilanza correlati alla concessione dei crediti. In altri termini, per semplificare, la Bce obbliga le banche a tenere bloccati (e infruttiferi) una parte dei depositi dei risparmiatori.

Ed ecco il secondo segnale, nel corso di questa ultima “revisione”, la Bce ha innalzato per quelle banche i livelli di capitale di cautela. Se a questi indicatori aggiungiamo la fine delle moratorie (sospensione del pagamento delle rate dei prestiti per il Covid), l’introduzione del calendar provisioning e il progressivo esaurimento della Tltro (fondi che la Bce ha messo a disposizione delle banche per potenziare l’erogazione di prestiti bancari a favore delle imprese), allora prepariamoci a un mortale credit crunch per quelle imprese che non riusciranno a organizzare una corretta e basica gestione finanziaria. Come abbiamo più volte ho ripetuto, ritengo che le banche rappresentino solo il boia di un suicidio assistito.

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