C’era un Dpcm pronto, già firmato da Roberto Speranza, che disponeva la zona rossa ad Alzano Lombardo e Nembro. La bozza era stata sottoscritta dal ministro della Salute il 5 marzo 2020, ma il presidente del Consiglio Giuseppe Conte non controfirmò il provvedimento e i due paesi della Bergamasca non entrarono mai nella stessa condizione del Lodigiano e di Vo Euganeo, nonostante il contagio di Sars-Cov-2 galoppasse. Risiede in quella firma dell’uno e nella mancata dell’altro anche la diversa posizione dell’ex presidente del Consiglio e dell’ex ministro nell’inchiesta della procura di Bergamo sulla diffusione del Covid nella prima ondata. Mentre Speranza risponde di epidemia colposa per la sola mancata attuazione del piano pandemico, Conte ha tra le contestazioni anche la mancata firma. Quando l’attuale presidente del M5s è stato ascoltato dai pm di Bergamo il 12 giugno 2020 in qualità di persona informata sui fatti ha spiegato: “Il fatto che il 5 marzo 2020 la bozza fosse già sottoscritta dal ministro Speranza mi è stato riferito successivamente, credo dai miei collaboratori. Il documento firmato non è mai stato nelle mie mani”. E non è mai entrato in vigore per la mancata controfirma dell’allora presidente del Consiglio.

“Io avevo firmato il decreto per disporre la chiusura, ma poi non è stato controfirmato da Conte perché nella riunione col Comitato tecnico scientifico si è deciso di aspettare visto che stavamo andando verso il lockdown generale, scattato pochi giorni dopo”, aveva spiegato Speranza in un colloquio con La Stampa nel quale si è definito amareggiato per le accuse mosse. Contestazioni, ha detto, “che fanno male, pesanti”. Ma, ha sottolineato, “io ho la coscienza a posto e da ministro ho dato davvero tutto”. Gli atti che riguardano Conte e Speranza sono stati stralciati dall’inchiesta di Bergamo e trasmessi dalla procura ai colleghi di Brescia, dove i magistrati avranno 15 giorni per l’esame e poi procederanno all’invio al Tribunale dei ministri, che sarà composto da un collegio di tre giudici bresciani.

Nei primi giorni di marzo 2020, l’allora ministro della Salute in un messaggio inviato al direttore dell’Iss Silvio Brusaferro scriveva: “Conte senza una relazione strutturata non chiude i due comuni. Pensa che se non c’è una differenza con altri comuni ha un costo enorme senza beneficio”, si legge nella relazione del professore Andrea Crisanti, agli atti dell’inchiesta. Speranza ha riferito agli inquirenti di averlo saputo “solo il 4 marzo” e di aver chiesto “chiarimenti” perché le informazioni erano “insufficienti per adottare una misura di grande impatto come la zona rossa”. Nella relazione Crisanti indica che alcuni “fatti in realtà si sono svolti diversamente”. Agostino Miozzo, componente del Cts, “nel pomeriggio del 2 marzo apparentemente senza la consapevolezza dei presenti stendeva il verbale di un riunione” alla presenza di Conte e Speranza, dove Brusaferro “illustrava la situazione” del Val Seriana e “sottolineava l’urgenza” di adottare la zona rossa.

Conte, si legge, evidenziò che andava usata “con parsimonia perché ha un costo sociale, politico ed economico molto elevato”. E “decide di rifletterci”. Doveva capire se “questa misura avesse un effetto reale”. Cts, Conte e Speranza, conclude Crisanti, erano “consapevoli delle criticità” ad Alzano e Nembro già dal “2 marzo”. Brusaferro ha messo a verbale che il 4 marzo da Speranza arrivò “una richiesta ulteriore di approfondimento”. Nei messaggi tra i due in riferimento a Conte si legge: “Parere lo ha spaventato (…) Lui dice che ci sono ormai molti comuni in questa situazione. Quindi ha dubbi che serva”. Brusaferro chiese “supporto al Prof Merler“, già estensore il 20 febbraio del “piano Covid” che sarebbe stato ignorato. Speranza ricevette il 4 marzo via WhatApp un documento di analisi. Non conteneva, sostiene Crisanti, “elementi di novità rispetto a quanto già discusso” nel Cts ma “evidentemente” bastò “a convincere” Speranza a firmare la bozza il 5 marzo.

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