Dopo tre anni di esperienze professionali a Mumbai, Chiara Redaelli e Francesco Cappoli hanno deciso di avviare il loro progetto che mette al centro dell'esperienza turistica le persone e non la logica del "mordi e fuggi". E oggi il loro team ha più di venti persone
“La nostra più grande passione è viaggiare. Fin da giovanissimi ogni risparmio lo abbiamo sempre destinato a partenze e scoperte”. Chiara e Francesco sono compagni di vita fin dai banchi di scuola: lei una laurea in giurisprudenza, lui in economia. Hanno girato il mondo tra India, Medio Oriente, Thailandia, Cambogia. Dopo tre anni di esperienze professionali a Mumbai, per Francesco nell’ambito delle consulenze e per Chiara come legal consultant, hanno deciso di tornare in Italia, nella loro città d’origine, a Lecco, per aprire una startup.
Chiara Redaelli, classe 1992, si definisce una “creatrice cronica di idee”. Dopo essersi laureata in giurisprudenza ha iniziato a lavorare nell’amministrazione pubblica presso il Consolato italiano a Mumbai. Francesco Cappoli ha 31 anni ed è un “problem solver per natura”: una doppia laurea in management, la sua carriera segue la consulenza strategica. “Il mio compito derivava dalla capacità di risolvere nel minor tempo possibile i problemi degli altri. Finché non ho deciso di fare miei quei problemi”, sorride.
L’idea di aprire una startup da zero, in Italia, arriva in un momento preciso, durante un viaggio a Firenze. “Avevamo voglia di godercela senza il caos della città. Con una cartina in mano un signore ci ha svelato un piccolo santuario sopra Piazzale Michelangelo – ricorda Francesco –. Da buon architetto fiorentino ha pensato bene non solo di rivelarcelo, ma di accompagnarci lì e raccontarci quel volto così diverso e affascinante di Firenze. In quel momento si è accesa la lampadina”.
Così, dopo tre anni di esperienze professionali a Mumbai, pian piano cresce nella coppia l’idea di dedicarsi a qualcos’altro. “Le prospettive di carriera in India erano molto interessanti”, spiega Chiara. “Siamo cresciuti a livello sia professionale che personale – aggiunge Francesco –. Ma al tempo la nostra idea si era fatta sempre più concreta e non volevamo rinunciarci. Abbiamo iniziato non solo a sognare, ma a disegnare Cicero sulla carta, dedicando, per un anno, qualsiasi momento libero avessimo”.
Quando è tutto pronto, bisogna solo decidere dove lanciarla. Asia? Europa? Stati Uniti? “Abbiamo pensato che se il sogno fosse davvero quello di valorizzare il territorio in cui avremmo operato, allora dovevamo necessariamente partire da casa. Siamo quindi saliti in sella alla nostra Royal Enfield e abbiamo percorso i 12mila chilometri che ci separavano da casa: da Mumbai a Lecco“.
L’obiettivo era quello di lanciare il progetto pilota a inizio 2020. “Ovviamente non avevamo previsto una pandemia”. L’avvio ufficiale tarda di un anno, spostando l’idea verso “l’unico spiraglio di speranza che restava nel mercato del turismo: la prossimità”. Per i primi tre mesi all’interno della startup ci sono solo Chiara e Francesco. “Poi ci siamo resi conto del potenziale, di quanto ci servisse una mano”. A fine 2021 il team conta dieci persone. Oggi sono in 21. “Arriveremo a 35 entro fine 2023”, spiega Francesco.
La vita di Cicero, come spesso accade per le startup, è una vera e propria montagna russa. “Abbiamo già smesso di contare alti e bassi, le soddisfazioni impreviste e gli scivoloni”. La piattaforma offre 150 “esperienze di prossimità” in 13 regioni d’Italia, coinvolgendo nel racconto artisti, artigiani, imprenditori o istruttori che amano il proprio territorio. L’obiettivo di Francesco e Chiara è creare una valida alternativa alle correnti “mordi e fuggi” del turismo standardizzato, mettendo al centro delle esperienze le persone come fonte di narrazione e i loro racconti.
Se all’estero la sfida più grande è vivere una cultura diversa, senza avere a disposizione i propri punti saldi (“cultura e famiglia”), tornati in Italia la situazione si ribalta. “La difficoltà diventa riadattarsi alle vecchie tradizioni e usanze, immersi tra persone che non sono state esposte alle stesse esperienze e che faticano a comprendere le differenze che vorreste importare. L’Italia – spiega Chiara – è incredibilmente bella, quanto spesso chiusa e restia al cambiamento”.
Eppure, se parliamo di startup, le agevolazioni “in Italia hanno poco da invidiare ad altri mercati europei”, spiega Francesco. Per non parlare di alcune forme di finanziamento pubblico, che “superano ogni aspettativa, al punto che sono ormai parecchie le startup estere che si candidano ai nostri bandi perché in paesi come Germania, Francia e Regno Unito non esiste qualcosa di paragonabile”. Il vero limite sta nel mercato dei capitali, che “occorre rendere appetibile anche ai fondi stranieri”.
Tra dieci anni Chiara e Francesco si immaginano a capo di un progetto che è diventato internazionale. L’idea iniziale era di lanciare Cicero in India (“un mercato infinito, in continua crescita, ma ancora immaturo”, dicono). Altre piazze europee, per non parlare di quelle americane, “avrebbero reso l’accesso ai capitali più semplice”. Poi, di fatto, ha vinto il cuore sulla ragione.
“Ci siamo detti che, se fossimo riusciti a far funzionare e crescere Cicero in Italia, il grosso era fatto. L’Italia è casa, e in quanto tale è tutto. Abbiamo passato la vita a scappare da qui perché stava stretta – concludono – per poi tornare sempre perché non potevamo farne a meno”.