“Io sono il vostro guerriero. Io sono la vostra giustizia. E a coloro che sono stati offesi e traditi, dico: io sono la vostra ricompensa”. Nel discorso di chiusura della Conservative Political Action Conference (CPAC) in Maryland, Donald Trump ha rilanciato con toni particolarmente aggressivi la sua candidatura alla presidenza degli Stati Uniti e mostrato quanto il suo messaggio continui a risuonare nella base più conservatrice del partito repubblicano. Circondato da una folla in visibilio, che indossava spille, magliette, cappellini MAGA (Make America Great Again) e che urlava “Trump, Trump, Trump”, l’ex presidente ha chiesto altri quattro anni “per finire il lavoro interrotto”. Su una cosa è apparso molto chiaro. Nel caso dovesse venire incriminato, non rinuncerebbe alla candidatura.

La conferenza annuale dei conservatori del CPAC è stata per anni il palcoscenico privilegiato di politici e candidati alla presidenza repubblicani. L’evento di quest’anno – al National Harbor in Maryland, appena fuori Washington DC – ha mostrato invece la presa che Trump ha ormai sul partito e l’entusiasmo, la dedizione, che l’ex presidente continua a suscitare nella base conservatrice repubblicana. Assenti quasi tutti i maggiorenti del partito (a eccezione di Nikky Haley e Mike Pompeo, che hanno ricevuto un’accoglienza tiepida e applausi di circostanza), la scena è stata per l’appunto dominata da Trump, da membri della sua famiglia e dai suoi più stretti alleati: la deputata della Georgia, Marjorie Taylor Greene, il suo ex advisor, Steve Bannon, l’ex candidata a governatrice dell’Arizona, Kari Lake, tutti speaker che nel passato hanno abbracciato e rilanciato la tesi delle elezioni rubate dai democratici di Joe Biden.

Nel suo discorso, Trump ha resuscitato gli accenti della sua retorica più aggressiva e populistica, quella che si nutre della sfiducia e del risentimento verso la politica di Washington e che rivendica il ruolo di Trump come voce degli oppressi e degli esclusi. “Con voi al mio fianco – ha detto l’ex presidente – demoliremo il deep state. Sbatteremo fuori i guerrafondai. Scacceremo i globalisti, i comunisti… la classe politica che odia il nostro Paese. Sconfiggeremo i democratici. Distruggeremo i mezzi che diffondono le fake news. Smaschereremo i Rinos [repubblicani solo di nome]. Estrometteremo Joe Biden dalla Casa Bianca. Libereremo l’America da cattivi e mascalzoni una volta per tutte”. Dopo aver preso di mira i suoi nemici interni, appunto i Rinos che si oppongono al suo ritorno alla Casa Bianca – “non torneremo mai a essere il partito di Paul Ryan, Karl Rove e Jeb Bush” – Trump ha affrontato il tema della guerra e “dell’epoca più difficile nella storia dell’America”.

Trump ha legato la decisione di Vladimir Putin di invadere l’Ucraina al ritiro disastroso degli Stati Uniti dall’Afghanistan nell’agosto 2021, ciò che avrebbe mostrato tutta la debolezza e l’impreparazione militare e diplomatica degli USA. Il risultato, a suo giudizio, sarà la terza guerra mondiale, a meno che il candidato del destino, cioè lui, non ritorni alla Casa Bianca per riparare ai danni fatti da Joe Biden: “So quello che dico: metterò fine alla guerra disastrosa tra Russia e Ucraina ed eviterò la terza guerra mondiale”, ha spiegato. Dopo aver toccato i vari temi che suscitano l’entusiasmo della base più conservatrice – un muro con il Messico per bloccare l’entrata delle droghe, il ritorno al voto con schede cartacee per evitare brogli elettorali, un giro di vite sui diritti delle persone transgender e sui loro interventi chirurgici – Trump ha concluso il suo discorso con un appello dai toni apocalittici: “Questa è la battaglia finale. Se non la combatteremo, il nostro Paese sarà perso per sempre”.

Significativa, nel discorso di Trump, è stata l’assenza di qualsiasi riferimento al suo rivale più probabile nella corsa per le presidenziali 2024: Ron DeSantis, il governatore della Florida che non ha ancora ufficialmente annunciato la sua candidatura, che però appare a questo punto sicura. DeSantis ha snobbato l’evento del CPAC e ha preferito continuare il suo viaggio per costruire una rete di sostegno e di finanziamenti a livello nazionale. Nelle stesse ore in cui Trump parlava al CPAC, DeSantis compariva ad eventi di raccolta fondi a Houston e Dallas, oltre a partecipare da ospite d’onore al meeting in Florida del Club for Growth, un’organizzazione anti-tasse che non ha invitato a parlare Trump. Nelle prossime ore, DeSantis parlerà anche alla Ronald Reagan Presidential Library. L’attivismo del governatore della Florida mostra una dinamica importante di questo esordio di campagna elettorale. Trump resta il candidato al momento largamente favorito (un recente sondaggio Emerson College dà all’ex presidente un vantaggio di ben 30 punti rispetto a DeSantis nelle preferenze di voto dei repubblicani), ma non è l’unico candidato alla presidenza per i repubblicani, come lui avrebbe sperato.

Questo, più che alla campagna del 2020, quando Trump non ebbe rivali, riporta a una situazione simile a quella del 2016, quando invece lo scontro tra i contendenti repubblicani fu particolarmente acceso. Trump dovrà battersi per raccogliere più finanziamenti elettorali dei suoi rivali e per ottenere il voto degli elettori, quindi l’appoggio dei delegati. Nelle scorse settimane suoi emissari hanno cominciato a essere dislocati nei primi Stati dove si voterà per le primarie, al fine di seguire l’organizzazione di una imponente macchina elettorale. Nei prossimi giorni Trump terrà anche un comizio a Davenport, in Iowa, il primo Stato dove si voterà (a Davenport farà sosta per un altro comizio anche Ron DeSantis). Ci sono notizie che danno al team dell’ex presidente fiducia nella possibilità di vincere la sfida per la candidatura. Per esempio Ike Perlmutter, un uomo d’affari che nel passato ha sostenuto le campagne elettorali sia di Trump che di DeSantis, ha fatto intendere che nel 2024 preferirà Trump.

Ma, nonostante l’entusiasmo della base e l’appeal che l’ex presidente mantiene tra i miliardari vicini al partito, la sua capacità di dominare le politica repubblicana appare meno forte rispetto al passato. Dopo il suo discorso al CPAC del 2021, a pochi giorni dall’assalto al Congresso, Trump fu capace di raccogliere oltre tre milioni di dollari online. Nelle ore successive all’annuncio della sua candidatura per il 2024, i soldi raccolti online sono stati 1,6 milioni. Quasi la metà, dunque. Anche molti maggiorenti repubblicani preferiscono aspettare, prima di dichiarare da che parte stanno. Sarah Huckabee Sanders, ex portavoce di Trump alla Casa Bianca e ora governatrice dell’Arkansas, ha ricevuto una telefonata dagli uomini di Trump la settimana scorsa, che le chiedevano di dichiarare il suo endorsement, il suo sostegno per l’ex presidente La risposta è stata negativa, Sanders preferisce aspettare. La sfida nel G.O.P. sarà dunque aspra e, presumibilmente, molto lunga.

Sullo sfondo della sfida per la candidatura, ci sono ovviamente le innumerevoli vicende giudiziarie. Nei confronti di Trump sono aperte due inchieste statali – una a New York City, per aver sovrastimato il valore dei beni della Trump Organization, e una nella contea di Fulton, in Georgia, per interferenze nel voto del 2020 –, oltre a due inchieste federali: una per il suo ruolo nell’assalto al Congresso del 6 gennaio, l’altra per aver sottratto e portato nella sua residenza di Mar-a-Lago documenti top secret. Prima di salire sul palco del CPAC per il discorso, Trump è stato molto chiaro. “Non penso assolutamente al ritiro, nel caso di incriminazione”, ha detto ai giornalisti, spiegando anzi che l’eventuale incriminazione darebbe più forza alla sua candidatura.

Che Trump pensi di usare la candidatura alla presidenza come strumento di pressione nei confronti delle inchieste giudiziarie è risultato evidente anche dal suo intervento sul palco del CPAC. L’ex presidente ha definito “corrotti e politicamente motivati” i pubblici ministeri che lo mettono sotto inchiesta. Ha detto che non conosceva la parola “subpoena”, citazione in giudizio, prima di entrare in politica (in realtà è stato citato centinaia di volte prima del 2016 e la prima inchiesta federale a suo carico risale agli anni Settanta) e ha esplicitamente legato la sua ascesa politica alle persecuzioni giudiziarie di cui sarebbe oggetto. “Ogni volta che i numeri dei miei sondaggi schizzano in alto, i pubblici ministeri diventano ancora più pazzi”, ha spiegato.

Dal suo discorso al CPAC, è risultato del resto sempre più evidente che Trump intende usare politicamente l’assalto al Congresso. Durante l’estate, ha incontrato Cynthia Hughes, fondatrice del “Patriot Freedom Project”, un gruppo che fornisce assistenza legale alle persone finite sotto processo per l’attacco del 6 gennaio. L’ex presidente è apparso anche in un video a sostegno del gruppo, cui però ha donato solo 10mila dollari, molto meno rispetto alle attese. E pochi giorni fa ha prestato la sua voce a un altro video in cui 20 detenuti, incarcerati per le violenze compiute nell’assalto, cantano lo “Star-Spangled Banner”, l’inno statunitense. A un certo punto del video risuona proprio la voce di Trump, che recita il Pledge of Allegiance, il giuramento di fedeltà alla bandiera degli Stati Uniti. Sono segnali che mostrano per l’appunto l’intenzione di fare dell’attacco al Congresso un motivo qualificante della prossima campagna elettorale. Qualcosa che molti tra gli stessi repubblicani avrebbero preferito evitare, e che promette di rendere ancora più infuocata la battaglia per la Casa Bianca.

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