Ora il gruppo di telecomunicazioni ha due proposte alternative da pesare, con quella filogovernativa che sarebbe più interessante per la componente di liquidità. Resta da capire la collocazione del debito e dei dipendenti del gruppo a valle dell'operazione. Ma soprattutto la posizione del primo socio di Tim, la holding francese Vivendi di Vincent Bolloré che per la rete vorrebbe una valorizzazione da oltre 30 miliardi
Cassa Depositi e Prestiti rompe gli indugi e raccoglie la provocazione del fondo Kkr. La cassaforte del ministero dell’Economia presenterà un’offerta – non vincolante – per la rete infrastrutturale di Tim che sarà lanciata tramite Cdp Equity in tandem con il fondo Macquarie, già proprietario insieme alla Cassa di Open Fiber, la società della rete concorrente di Tim.
L’offerta da tempo attesa e benedetta da Palazzo Chigi, che non ha mai fatto mistero di puntare alla nazionalizzazione della rete telecom, riguarderà una società di nuova costituzione, NetCo, che ricomprenderà la rete Tim e la partecipazione in Sparkle (i cavi sottomarini). Strettissimi i tempi per una valutazione: la proposta scadrà il 31 marzo.
La palla passa ora al consiglio di amministrazione di Tim, che da un mese ha sul tavolo anche la proposta del fondo Usa Kkr in scadenza a fine mese. La proposta attuale del fondo, però, secondo le indiscrezioni ammonta a quasi 20 miliardi di euro. Somma inferiore di 5 miliardi all’intero indebitamento finanziario netto della compagnia che al 30 settembre scorso superava i 25 miliardi. Tim da canto suo a fine febbraio aveva espresso apprezzamento per la proposta, pur chiedendo un ritocco all’insù. Ora in arrivo da Cassa e Macquarie, secondo il Sole 24 Ore che parla di maggiore appetibilità nella parte cash della proposta: 1,5-2 miliardi in più rispetto ai 10 miliardi di Kkr.
Resta da capire, in entrambi i casi, la collocazione del debito e dei dipendenti del gruppo Tim a valle dell’operazione. Ma soprattutto la posizione del primo socio di Tim, la holding francese Vivendi di Vincent Bolloré, che ha sempre reclamato una valorizzazione di 31 miliardi di euro per la posta in gioco. La palla quindi, dopo il cda, passerà all’assemblea. Oppure alla diplomazia.